Rischio ingovernabilità

Bersani e Pd, che guaio al Senato: Monti sotto l'8%

Giulio Bucchi

  Se dalle urne non usciranno i numeri per governare "eslcudo un governo di unità nazionale. Non è il bene dell'Italia, non lo vedo possibile". Pierluigi Bersani, su Radiodue, dice no ai grandi inciuci, definita una ipotesi "puramente teorica". Eppure, il governissimo è parola che torna sempre più spesso tra analisti, commentatori e, soprattutto, politici. Su molte scrivanie girano "dossier" sugli ultimi sondaggi dai quali emerge un messaggio chiaro: il vento spira verso l'ingovernabilità. La scalata di Grillo - "Non abbiamo bisogno di paralisi ma di muovere le cose, di cambiare. Il prossimo governo deve essere di combattimento e cambiamento", è l'auspicio del segretario Pd, preoccupatissimo dall'avanzata di Beppe Grillo: secondo molti il Movimento 5 Stelle rischia di diventare lunedì prossimo il secondo partito italiano, rubando voti sì al Pdl ma pure al Partito democratico invischiato nella scabrosa inchiesta Monte dei Paschi. Perdere consenso significa mettere a rischio la maggioranza alla Camera dei deputati, unico appiglio di Bersani per sperare di andare a Palazzo Chigi. Avere un solo voto in più significa prendere in mano Montecitorio e mezzo Parlamento. Monti senza Quorum - Ma i guai sono altri, e vengono da Palazzo Madama. Secondo i numeri in mano ai vertici di Largo del Nazareno, infatti, il rischio vero riguarda Mario Monti. Il Centrino, attualmente, è intorno al 10-11% mentre lo sbarramento al Senato è l'8%. Il guaio, però, è il trend decisamente negativo di professore, Fini e Casini. Se, caso difficile ma non impossibile, Scelta civica non ce la facesse si aprirebbero scenari tremendi per il Partito democratico. Con la (eventuale) maggioranza alla Camera ma senza numeri per governare al Senato, a meno di una improbabile alleanza proprio con i grillini. In quel caso, che fare? Di nuovo alle urne? - E' stato il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, a Otto e mezzo martedì sera su La7, a lanciare un'ipotesi ardita: che si torni a votare di nuovo, ma solo per il Senato. Scenario previsto dalla Costituzione ma mai applicato, nemmeno nel 2006 quando la governabilità era assolutamente a rischio (Romano Prodi aveva 3 soli voti di vantaggio a Palazzo Madama). Certo, dovrebbe essere Bersani a richiederlo al presidente della Repubblica, e l'uscente Giorgio Napolitano (che proprio oggi ha confermato che non rimarrà al Quirinale per un secondo mandato) si dovrebbe prendere la responsabilità di acconsentire, provocando le prevedibili reazioni inviperite di Pdl e Movimento 5 Stelle. Che però, da un ritorno anche parziale alle urne, potrebbe essere il partito più avvantaggiato.