Verità di Mortadella
Silvio Berlusconi, la congiura del 2011: anche Romano Prodi attacca Standard & Poor's
Ora è tardi: sono trascorsi quattro anni. E forse è addirittura facile. Troppo facile alzare la voce oggi contro Standard & Poor’s, la severissima agenzia di rating americana che nel 2011 a forza di voti bassi, contribuì prima a far salire i tassi di interesse e poi di fatto spinse (con la sponda di pressioni internazionali) l’allora premier, Silvio Berlusconi, a consegnare palazzo Chigi a Mario Monti. Fatto sta che la sfilata di ieri a Trani di pezzi da novanta come Romano Prodi, Giuseppe Vegas e Maria Cannata, testimoni al processo contro S&P lascia l’amaro in bocca a chi nel 2011 gridò al complotto. Un’ipotesi raccolta poco dopo dal pubblico ministero pugliese, Michele Ruggiero, convinto che sia stata ordita una trama su scala internazionale per dare scacco al Cavaliere e mettere in ginocchio i conti pubblici dell’Italia. Il 10 dicembre sarà ascoltato anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La tesi accusatoria è manipolazione del mercato: voti truccati, insomma. Sul banco degli imputati sono finiti quattro manager S&P. Ieri Prodi, Vegas e Cannata non hanno parlato apertamente di complotto. Tuttavia, l’ex presidente della Commissione europea, il numero uno della Consob e l’alto dirigente del Tesoro (che ha in mano le chiavi del debito pubblico) hanno attaccato il comportamento dell’agenzia americana. Il momento attorno al quale ruota il processo è il declassamento del nostro Paese deciso, appunto, da S&P a maggio 2011. Il voto fu abbassato di due gradini e secondo Cannata il downgrading di due scalini «non ci stava» perché l’Italia aveva già intrapreso un cammino di riforme e di rientro dal disavanzo come suggerito dalla stessa agenzia Usa. Secondo la «signora del debito pubblico» S&P aveva una «ipercriticità» nei confronti dell’Italia. Il declassamento ebbe effetti devastanti. In pochi mesi lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i btp italiani e i bund tedeschi salì da 200 punti al record storico di 574 punti toccato il 9 novembre:quel giorno l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nominò Monti senatore a vita e nel giro di 72 ore Berlusconi rassegnò le dimissioni. La convinzione diffusa - dentro e fuori i nostri confini - era che l’Italia stava a un passo dalla bancarotta. Così la politica lasciò campo libero ai tecnici i cui disastri pesano ancora oggi sulle tasche dei contribuenti, dei lavoratori e dei pensionati. Ed è proprio l’aspetto politico - e non quello squisitamente finanziario- quello attorno al quale poggia la tesi di una congiura contro Berlusconi. Una tesi di fatto avallata non solo da Cannata, ma anche da Prodi e Vegas («pesò la situazione politica»). Quest’ultimo ieri ha pure rivelato che nel 2011 fu segnalata ad autorità europee «la mancanza di coerenza delle metodologie sul rating italiano da parte di S&P», ma il dossier fu «archiviato». Il presidente della Consob ha toccato anche le corde dei «conflitti di interesse». Prodi, invece, ha osservato di considerare «tuttora il peso di questi giudizi esterni eccessivo» e ha detto che gli analisi del rating «non conoscono il funzionamento di un paese così complesso come l’Italia». S&P sostiene che le testimonianze raccolte ieri sono in suo favore. Per la procura resta assai complicato dimostrare determinate connessioni. La stessa Cannata ha spiegato che a volte il declassamento può avere effetti positivi su una successiva asta di bot o btp. La questione, del resto, va affrontata sul piano politico. E le parole di Prodi, Vegas e Cannata da questo punto di vista potrebbero favorire una sentenza di condanna da parte dei giudici. Che emetteranno il verdetto, però, solo se salterà fuori con evidenza che i voti erano truccati. di Francesco De Dominicis