L'analisi
Elezioni regionali, muore il "partito della Nazione" di Matteo Renzi (e trionfa il vecchio Pd di Pier Luigi Bersani)
Dal partito della Nazione al partito dell’Illusione. Illusione, quella di poter superare i vecchi confini regionale della sinistra. Illusione, quella di poter conquistare i voti dei giovani cinque stelle e dei delusi del centrodestra. Illusione quella di sconfiggere la corrente di minoranza interna e di isolare i vecchi senatori del Partito democratico. Oggi, per dirla con Renato Brunetta, è “tornato il Pd di Bersani”. Quel partito delle liti fra colleghi, dei leader che si negano ai giornalisti, delle dubbie figure candidate ad altri ruoli di dirigenza. Un Pd, inoltre, che vince in modo netto solo con i candidati più lontani da Renzi (e, idealmente, vicini proprio a Bersani): Emiliano in Puglia e Rossi in Toscana. La domenica più lunga di Renzi – Che quella del 31 maggio sarebbe stata una “notte dei lunghi coltelli” qualcuno lo aveva già pronosticato. E così in effetti è stato. Un 5 a 2 quello di Renzi, non così distante dal 6 a 1 paventato ad inizio campagna elettorale, ma più doloroso di quanto si possa pensare. Il 40,8% delle europee è ormai un ricordo lontano. Quella percentuale che aveva permesso a Mattero Renzi di andare avanti per mesi senza troppo dover rendere conto agli avversari ormai non esiste più. La sconfitta in Liguria è quella che pesa di più. Mentre in Veneto la vittoria di Luca Zaia era data quasi per scontata, e la povera donna delle gaffe Alessandra Moretti era stata offerta con un agnello sacrificale quasi fin da subito, il risultato nella terra della lanterna ha un significato ben più profondo. La vittoria di Giovanni Toti ha dimostrato che il centrodestra può ancora nuocere, coeso e unito sotto la guida di un felpato Matteo Salvini, mentre il Pd è capace di spaccarsi e di farsi del male come la sua tradizione masochista ha sempre dimostrato in passato. Un passato che Renzi sperava di aver superato, e che invece cacciato dalla porta gli si è ripresentato dalla finestra. De Luca come Pirro – Non solo, ma anche là dove il premier può dire di aver vinto, là nella Regione del Vesuvio e della Terra dei fuochi, si troverà già da domani una bella gatta da pelare. Un presidente, Vincenzo De Luca, che come capo del Governo sarà costretto a dichiarare ineleggibile in base alla Legge Severino. E Gufi, iettatori e congiure qui non centrano niente. Qui c’entra un Renzi che dopo settimane di incertezza è stato costretto a sopprimere la questione morale in favore di un personaggio che gli potesse garantire il successo. Qui c’entra un presidente del Consiglio che ha dimenticato la parola “rottamatore”, che pur tanti consensi gli aveva garantito a inizio carriera, in favore della più cinica ma necessaria parola “vittoria”. Probabilmente però, di Pirro. Se infatti il Pd si attesta come padrone incontrastato al Sud, i problemi potrebbero essere più dei benefici. Anche in Puglia, dove il nuovo presidente Michele Emiliano ha già dimostrato di non adattarsi bene alle direttive di partito, offrendo un assessorato all'acerrimo nemico grillino. di Leonardo Grilli