Rischio crisi

Italicum, Matteo Renzi: "Se non passa, devo salire al Quirinale"

Giulio Bucchi

"Il confronto è durato un anno, il testo della legge è stato modificato, se ora dico che non ci sono margini di manovra non lo faccio per forzare ma perché è arrivato il momento di decidere. Adesso si vota nel gruppo e l'esito di quel voto sarà vincolante per tutti". Matteo Renzi va avanti deciso, a modo suo: sull'Italicum non si tratta più. La minoranza Pd, tra gli 80 e i 100 parlamentari, chiede di poter modificare la legge elettorale a Montecitorio e soprattutto dice no al voto di fiducia che il governo è intenzionato a porre per blindare la riforma. E' su questo punto che il Partito rischia di esplodere davvero. La minaccia dei dissidenti più duri è concreta: votare no al provvedimento in caso di fiducia. Da soli, non basterebbero a far saltare tutto. Ma se ci fosse il voto segreto, allora la saldatura tra loro e le opposizioni sarebbe concreta e soprattutto potrebbe invogliare anche quegli esponenti della minoranza più cauti o timorosi di esporsi. "Se la legge non passasse, non potrei far altro che trarne le inevitabili conseguenze e salire al Quirinale da Mattarella", avverte i suoi (e non solo) il premier. Significherebbe, di fatto, fine del governo e della legislatura, con ritorno al voto. Una opzione che i falchi della minoranza non scartano, ma che piace poco o nulla a tutti gli altri. "Anche nel centrodestra", sottolinea Renzi. Naturalmente, però, rompere in questo modo con il suo stesso partito non conviene al premier-segretario per primo e non a caso per ricucire potrebbe mettere sul piatto un'altra riforma, quella costituzionale. Votare obtorto collo l'Italicum e in cambio avere mano libera o quasi per la modifica del Senato. Uno scambio che potrebbe soddisfare tutti, nel Pd.