Beccato
Matteo Renzi, la mossa per andare a votare: colpo gobbo sull'Italicum
Era da poco passato il mezzogiorno, e mentre Matteo Renzi e Sergio Mattarella terminavano il giro nel centro di Roma a bordo della Flaminia presidenziale senza capote con grande soddisfazione del nuovo capo dello Stato (lui è molto freddoloso), nel cortile di Montecitorio è iniziata una lunga discussione fra due senatori. Uno dei due è ben noto a chi frequenta il palazzo: Donato Bruno, avvocato di Forza Italia ed esperto di riforme istituzionali. Negli ultimi mesi insieme ad Anna Finocchiaro a palazzo Madama ha officiato il patto del Nazareno guidando l’approvazione sia della riforma costituzionale che della legge elettorale, l’Italicum. Se si votasse a breve, secondo voi... Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it L’altro senatore è meno noto alle cronache: si chiama Mauro Del Barba, è un bancario della provincia di Sondrio, oggi è segretario della commissione Bilancio di palazzo Madama ed è anche tesoriere del gruppo parlamentare del Pd guidato da Luigi Zanda. Del Barba è un renziano della prima ora, che nonostante la giovane età ha condiviso lo stesso cursus politico dell’attuale premier: animatore dei gruppi per l’Ulivo, dirigente locale del partito popolare e della Margherità, poi il Pd. Ha appoggiato Renzi alle primarie del 2012, che ha stravinto nel suo territorio, e per questo si è conquistato un posto in Senato. Proprio Del Barba ha acceso la miccia di quella discussione: «Se si dovesse andare a votare», ha spiegato a Bruno, «possiamo subito utilizzare l’Italicum, che ormai è quasi approvata. Basta inserire quel testo in un decreto legge che estenda il meccanismo maggioritario con ballotaggio anche all’elezione per il Senato». SENZA PRECEDENTI Tralasciamo qui le lunghe, animate e dotte risposte di Bruno, che invano ha tentato di spiegare al suo interlocutore come quella idea fosse tecnicamente irrealizzabile: non ci sono precedenti di una legge elettorale introdotta per decreto legge. E in ogni caso l’Italicum non potrebbe essere la soluzione per il Senato, dove servirebbe un premio di maggioranza su base regionale, come più volte hanno sottolineato i presidenti della Repubblica (perfino il Porcellum fu modificato così, causando tutti i pasticci ben conosciuti, dall’intervento dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi). Non sbagliava il senatore Bruno a profetizzare che mai il nuovo Capo dello Stato avrebbe messo la sua firma sotto un decreto legge di questa natura. Quel che conta è proprio l’idea stessa lanciata da Del Barba, e il suo cocciuto insistere sulla fattibilità. Perché è un segnale politico, non proprio secondario. Viene da un renziano doc, e segnala quel che si sussurra a palazzo da qualche giorno: chiusa con successo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, Renzi sta nuovamente pensando ad elezioni che gli consentano di risolvere una volta per tutte la sua personale partita con la minoranza del Pd (solo addormentata dalla battaglia per il Quirinale in cui si sono serrate le fila) e allo stesso modo pure il potere di interdizione degli alleati minori della maggioranza, Ncd in testa. MAGGIORANZA FRAGILE Per altro proprio le ferite che nel partito di Angelino Alfano si sono aperte in questi giorni riportano fra i temi di attualità la possibilità di una fine anticipata del governo e di conseguenza anche della legislatura. Il tema politico indubbiamente c’è, e il fatto che nelle fila dei fedelissimi del capo del governo ci si ponga con urgenza il tema di una legge elettorale in grado di offrire una maggioranza certa alle urne, indica come il quadro istituzionale sia davvero a rischio frana. Anche se non tutti ne sono convinti. «A me sembra che il tema politico di una rottura della maggioranza di governo in questo momento non sia attuale. Anche i malumori passeranno», sostiene Emanuele Fiano, altro renziano del Pd che alla Camera ha seguito come relatore i percorsi delle riforme istituzionali. Della stessa opinione è anche la figura più rappresentativa della minoranza Pd, Pierluigi Bersani, che sminuisce i rischi che possano venire da Ncd sulla stabilità di governo: «Sono arrabbiati? Sì, ma alla fine anche la rabbia sbollirà», dice lui. Qualche segnale in questo senso è sembrato arrivare ieri da sguardi e sorrisi a favore di telecamere di Renzi e Alfano durante il discorso di insediamento di Mattarella. L’INCOGNITA NCD Non è molto, anche perché nel partito i maldipancia non sono pochi, e il clima sembra aggressivo nei confronti del premier. Non è sfuggita l’assenza di Maurizio Lupi nei banchi dell’esecutivo. Sono state ribadite le dimissioni della portavoce del partito, Barbara Saltamartini che in una intervista a Libero tv (questa mattina su www.liberoquotidiano.it) ha spiegato: «mi è ormai impossibile portare una voce che non condivido». Si è dimesso da capogruppo in Senato Maurizio Sacconi. E traballa la sua collega alla Camera, Nunzia De Girolamo. Il cronista di Libero ieri le ha rivolto una domanda iniziando con un «voi del Ncd...», e lei con ampio sorriso ha replicato : «Noi? Vorrai dire loro...». Anche Fabrizio Cicchitto fa presagire aria di tempesta: «da quel che mi risulta il premier non ha ancora sciolto e annullato il Parlamento. Che quindi ha ancora la sua libertà di decidere. E anche di votare contro a provvedimenti che non condivide...». Il clima dunque è questo. E la forzatura sulla legge elettorale è davvero gran tentazione di Renzi e del suo gruppo. Più che appellarsi a San arbitro Sergio Mattarella non si può... di Franco Bechis @FrancoBechis