Il patto del Nazareno
Così Napolitano ha fregato Renzi: riforme condivise e Italicum subito
Rinsaldare il patto del Nazareno e rassicurare quanti temono che l’approvazione della legge elettorale significhi correre spediti verso il voto anticipato. Questo, in sintesi, è quello che Giorgio Napolitano ha raccomandato a Matteo Renzi in un colloquio durato più di un’ora e a cui ha partecipato anche il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi. Il premier ha rassicurato il capo dello Stato riguardo al percorso delle due riforme in ballo, elettorale e costituzionale, dopo lo strappo di una parte del partito sul Jobs Act e le tensioni successive al voto in Emilia Romagna. La complicata matassa si riflette nel comunicato del Quirinale, dove si spiega come sia stato «ampiamente esposto il percorso che il governo considera possibile e condivisibile con un ampio arco di forze politiche. Un percorso», si aggiunge, «che tiene conto delle preoccupazioni delle diverse forze politiche, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra legislazione elettorale e riforme costituzionali». Legge elettorale - Tradotto dal felpato linguaggio quirinalizio, potremmo dire che Renzi ha rassicurato sul fatto che il patto del Nazareno regge. A sua volta il presidente della Repubblica ha suggerito a Renzi di rispondere alle «preoccupazioni» che ci sono rispetto a una possibile fine anticipata della legislatura. E a rendere la riforma il più omogenea possibile, anche con alcune modifiche. Il modo, Renzi, non l’ha specificato. Ma una soluzione per fugare i timori di chi teme le urne ce l’ha in mente e ne ha parlato con i suoi collaboratori: approvare in Senato l’Italicum entro dicembre, così da consentire a Napolitano di lasciare l’incarico quando si è prefissato (il 31 dicembre), potendo dire di aver ottenuto almeno due letture della legge elettorale. Quindi, passare all’elezione del nuovo presidente, in accordo con Berlusconi, parcheggiando l’Italicum alla Camera. E solo dopo l’elezione del successore di Napolitano, riprenderlo in mano. Quando, ormai, non ci sarebbero più i tempi per andare al voto, dissipando così le paure di chi teme che il via libera all’Italicum significhi andare al voto. Far precedere l’elezione del nuovo presidente al via libera definitivo della legge elettorale è un modo per legare Berlusconi agli impegni presi: io ti coinvolgo nell’elezione del nuovo presidente, tu mi assicuri un percorso in discesa per l’Italicum per l’approvazione a Palazzo Madama. Uno scambio che conviene a entrambi. A Berlusconi per essere al tavolo della scelta per il Quirinale, a Renzi per essere più tranquillo al Senato e nelle votazioni del successore di Napolitano. Legislatura - Non a caso anche a sera, in un intervista al Tg1, Renzi si è preoccupato di fugare i timori di chi vede le urne avvicinarsi: «Se faremo le riforme la legislatura arriverà alla scadenza naturale al 2018». E si è detto certo del buon esito: «Siamo a un passo dalla chiusura, tra dicembre e gennaio chiudiamo». Quanto a Berlusconi, con lui «abbiamo un accordo sulle regole del gioco», se poi «con la fascia di capitano giocherà Salvini, affronteremo Salvini. Non ho paura né di lui né di Berlusconi». Minoranze pericolose - Semmai il problema è il Pd: la situazione a Palazzo Madama, infatti, potrebbe non essere semplice, se alle tensioni dentro Fi si aggiungessero quelle della minoranza interna. Se si ripetesse sull’Italicum quello che è accaduto l’altro giorno alla Camera sul Jobs Act, con una trentina di deputati che è uscita dall’Aula, visti i numeri risicatissimi salterebbe tutto. In ogni caso, Renzi con Napolitano si è detto certo di riuscire ad approvare l’Italicum al Senato entro l’anno. Un impegno a cui Napolitano tiene particolarmente, avendo deciso di lasciare entro l’anno. Il suo secondo mandato, infatti, spiegano al Quirinale, è legato all’«avvio delle riforme», non al loro completamento, e al semestre di presidenza europeo, che scade appunto il 31 dicembre. Quirinale - Un accordo con Berlusconi serve poi a Renzi anche per eleggere il nuovo presidente. Altra partita che rischia di complicarsi. L’intervista di Rosy Bindi al Corriere della Sera e il protagonismo di Romano Prodi sono state lette, infatti, dai fedelissimi del premier come prove generali per un’operazione sul Quirinale. Il timore è che, durante le votazioni del successore di Napolitano, la minoranza anti- renziana, magari in accordo con Sel e i Cinque Stelle, usi la carta del Professore per boicottare il nome sui cui il premier e Berlusconi troveranno un accordo. di Elisa Calessi