L'eminenza grigia di Ncd
Il ritratto di Giancarlo Perna: Quagliariello il farfallone svolazza su donne, idee e partiti
Non che sia diventato un allegrone ma, lasciando il Pdl, il senatore Gaetano Quagliariello ha ritrovato il sorriso. Nei dieci mesi dall’avvenuta liberazione ha messo su qualche etto, la fronte si è spianata e ha cambiato look. Via la tenuta scura da testimone di Geova, sostituita dalle maniche di camicia e il fare goliardo. È stato immortalato mentre duetta con Angelino Alfano, seduto a terra con altri di Ncd e raggiante nell’abbraccio con un’appetitosa Beatrice Lorenzin, ministro della Sanità. Tutte cose che sarebbero normali per chiunque ma che in lui erano inimmaginabili. Il Quagliariello del passato era un’anima in pena, febbrilmente concentrata a farsi apprezzare dal Cav. Quest’ansia gli dava un’aria molto spirituale e uno sguardo ultraterreno che mandava in brodo di giuggiole le senatrici. Specie quelle di sinistra, per le quali rappresentava un territorio inesplorato: un uomo di destra che, invece del solito macho, era di una levità quasi angelica e così letterato da stare alla pari con Massimo Cacciari anziché essere un avanzo delle periferie romane. Tra le vittime di Gaetano, Anna Finocchiaro, la più prestigiosa delle senatrici del Pd. Donna irruenta e quasi mascolina per la forza delle convinzioni, nulla ha però potuto di fronte alla tela di ragno in cui Quagliariello avvolge le signore con le quali si confronta. Le ascolta comprensivo per tutto il tempo in cui decidono di parlare, fissandole con uno sguardo da Bambi ferito che lentamente le disarma. Quando prende lui la parola, la signora di turno - compresa la tostissima Finoccharo - è già in deliquio e per Gaetano, rovesciare la frittata e vincere la partita, è un gioco da ragazzi. Contando su queste capacità taumaturgiche e sulla cultura superiore - è ordinario di Storia contemporanea alla Luiss -, Quagliariello ha tentato di conquistare il Berlusca per otto lunghi anni, dal 2006 quando entrò per la prima volta in Senato al 2013 in cui fu tra i promotori della diaspora di Ncd. Per raggiungere l’obiettivo, si sottopose a una logorante routine nel triennio della quarta presidenza Berlusconi (2008-2011): fare l’imbonitore del governo nei Tg a pranzo e a cena, Natale compreso. Lo ricorderete. D’inverno, ci appariva con la raucedine e la sciarpa al collo. Col solleone, sfatto dall’afa e pallido per le contorsioni dialettiche cui era costretto. Era il tempo in cui le promesse del Cav si sfarinavano giorno dopo giorno tra i trappoloni di Fini e i dispetti di Tremonti. E Gaetano, che pure vedeva bene la melassa in cui il governo era impaniato, ci ripeteva imperterrito via etere: «Il centrodestra lavora, la sinistra chiacchiera». Questo comportamento da allocco, cui era costretto un uomo della sua intelligenza, lo logorò. Il fiele cominciò ad accumularsi e l’irrequietezza a crescere. La rottura psicologica col Berlusca avvenne però dopo la caduta del governo e l’insediamento di Mario Monti. Finito l’ingrato ruolo di portavoce, per dargli un ubi consistam, il Cav incaricò Gaetano - che allora (2012) era vice capogruppo dei senatori Pdl - di trattare con il Pd la riforma del Regolamento del Senato e della legge elettorale. Quagliariello sentiva i temi come propri: li aveva maneggiati come accademico e come consigliere del suo mentore, Marcello Pera, negli anni in cui era presidente Fi di Palazzo Madama (2001-2006). Gli piacevano, inoltre, le luci della ribalta e il confronto con avversari degni come madame Finocchiaro e Luigi Zanda per il Regolamento e Luciano Violante per la legge elettorale. Ci mise l’anima e ne emerse il talento (non per nulla sarà ministro delle Riforme del governo Letta). Ma il Cav sul più bello lo sostituì con Denis Verdini, senza un barlume di motivazione. Gaetano non resse l’affronto. Ma come, quel selvaggio di Denis preferito a un docente di prima grandezza che aveva scritto libri a iosa tra cui un’eccellente biografia di De Gaulle (tradotta anche in francese) e un’altra, pure migliore, su Gaetano Salvemini? Il Nostro concluse che il Berlusca non meritava il suo zelo. Come ogni politologo che scende nell’agone politico, convinto di guidare le danze in ragione della sua sapienza, Gaetano non ammetteva che un praticone, sia pure di rango come il fiorentino Denis, potesse colpire il bersaglio meglio di lui. Chiuse così di fatto col Cav, rinviando l’addio formale alla successiva scissione, cui deve l’attuale serenità. Oggi, è il coordinatore del nuovo partito e il più antiberlusconiano dei fuorusciti. Gaetano è nato a Napoli 54 anni fa, ma l’illustre ceppo dei Quagliariello è di Salerno. Tra gli avi, sindaci e vicesindaci della città, il nonno Gaetano, grande biochimico, rettore dell’Ateneo di Napoli e senatore Dc agli esordi della Repubblica. A tre anni, Gaetanino fu portato di peso a Bari dove il babbo, Ernesto, aveva vinto la cattedra di Chimica biologica e dove si legò all’ataman dc dei luoghi, Aldo Moro. Come il nonno, anche il papà fu rettore (a Bari) e poi presidente del Cnr. Sazio di tanto perbenismo, Gaetanino, appena quindicenne, divenne seguace dell’immoralista Marco Pannella e restò sette anni nel Pr fino a diventarne vicesegretario nazionale. Si batté per l’aborto, lo spinello libero e contro il nucleare. In una di queste campagne fu arrestato con Rutelli all’isola della Maddalena per essere entrato nella zona off limits della base navale Usa. Oggi, il senatore non rinnega i suoi trascorsi, ma ha cambiato idea su tutto: è contro l’aborto, contro la droga, a favore dell’atomo. Se però gli date dell’incoerente, vi risponderà: «Ero liberale e lo sono, anticomunista e lo sono, garantista e lo sono». Ecco cosa intendevo, parlando del suo ammaliare le donne, per rigirare la frittata. Tu gli dici: «Eri per l’aborto». Lui replica: «Ero liberale». Tu dici: «Eri per la droga». Lui: «Ero anticomunista». Tu: «Eri antinuclearista». Lui: «Ero garantista». Uno così, quando lo batti? A 22 anni, come detto, è tornato nell’alveo del benpensantismo familiare, si è laureato a Bari in Scienze Politiche, iniziando la carriera accademica all’Aquila, poi a Bologna. A 36 anni era già ordinario alla Luiss di Roma, l’università della Confindustria. «Da bambino invece di giocare al dottore, giocavo alle elezioni», ha detto, intendendo che il suo abbraccio con la politica era scritto nelle stelle. Aderì a Fi ai suoi primordi. Grazie al collega accademico, Pera, un tempo pezzo da novanta del berlusconismo, conobbe il Cav e fu candidato al Senato. Ebbe il collegio in Toscana, la regione di Pera, e qui fu eletto nel 2006 e nel 2008. Poi con Pera, al quale fu avvinghiato per anni come il riccio allo scoglio, ruppe drasticamente. Un mistero su cui mai si è fatta luce. Fu così che emigrò in Abruzzo, di cui è adesso senatore con la stessa conoscenza dei problemi locali di un orso marsicano. Presto dovrà scovarsi un nuovo collegio, avendo nel frattempo cambiato partito in barba agli elettori abruzzesi che - lo dico a naso - se passasse dalle loro parti, lo inseguirebbero coi forconi. Salvo che, come ha irretito Finocchiaro, non imbamboli anche loro. di Giancarlo Perna