Anti-manettari?

Pd, Richetti e Bonaccini indagati in Emilia Romagna. Il partito: "Vendetta per la riforma della giustizia"

Giulio Bucchi

"Sono innocente, lo dimostrerò. Non ritiro la mia candidatura". "Giustizia a orologeria, i magistrati si vendicano e cercano di azzerarci". No, cari amici di sinistra: a parlare non è qualche esponente berlusconiano da voi sempre e aspramente criticato. Le parole sono quelle, rispettivamente, di Stefano Bonaccini, candidato alle primarie dem per la poltrona di governatore dell'Emilia Romagna, e di molti dirigenti del partito a Roma. La bomba giudiziaria emiliana, con Bonaccini e Matteo Richetti tra gli indagati per le spese pazze in regione con l'accusa di peculato, ha fatto scoprire ai piddini il loro animo garantista e anti-manettaro, ben nascosto anche in questi mesi, anni.  Una vendetta per la riforma? - D'altronde, il tempismo dei magistrati può prestare il fianco ai più maliziosi. Alla mattina arriva la nota furiosa dell'Anm, che critica la riforma della giustizia bollata come "punitiva" e che lascia trapelare una certa irritazione per il taglio delle ferie. "Brrr, che paura", ha commentato in serata uno sprezzante Matteo Renzi a Porta a porta. Ma qualche ora prima era arrivato il botto: prima la notizia dell'indagine su Richetti, quindi giusto il tempo di farci la bocca ed ecco quella della stessa sorte toccata a Bonaccini. I vertici Pd emiliani travolti. Al Nazareno parlano di coincidenze "inquietanti", nei tempi e nei modi. E tutti legano la notizia delle indagini, nel giorno della presentazione ufficiale delle candidature alle primarie, alla riforma della giustizia. "Noi andiamo avanti, non è che ci fermiamo per quello che è successo a Bologna", assicura il premier. "I candidati li scelga la Procura" - L'amarezza, però, resta. Nel Pd più d'uno fa notare di esserci rimasto male per le reazioni delle toghe, che non hanno apprezzato la volontà di parte del partito di rallentare la riforma proprio per non renderla troppo "punitiva". "Volevamo lasciare all'Anm uno spazio di riflessione", ripetono a Palazzo Chigi. E se la combattiva deputata emiliana Giuditta Pini spiega che "se tutto avviene il giorno della presentazione delle firme, non si devono lamentare delle dietrologie", l'assessore regionale alla Cultura Massimo Mezzetti, di Sel, scrive su Facebook: "Per risparmiare tempo chiediamo alla Procura chi vuole alla presidenza della Repubblica...". Messaggio chiaro: quando arrivano inchieste così pesanti, la politica finisce in un angolo sotto i colpi delle toghe. E il sospetto, nella segreteria renziana, è che la slavina bolognese possa continuare, facendo vittime anche a Roma.