Fuoco amico
Italicum e Senato: "No alla democrazia padronale"
«Il nostro Vietnam sarà la legge elettorale». La riforma del Senato non è ancora arrivata in Aula, le dimensioni del dissenso interno a Forza Italia sono tuttora un’incognita, ma già a Palazzo Madama si guarda al prossimo ostacolo, che rischia di essere perfino più complicato. Del resto le due partite, riforma del Senato e legge elettorale, sono legate. Lo stanno spiegando molto chiaramente, in queste ore, gli esponenti della minoranza del Pd, pronti a dare battaglia sul fronte più delicato del patto del Nazareno, quello su cui si regge l’impalcatura di tutte le riforme. Cioè l’Italicum. A dar voce all’opposizione interna al Pd, che sulla riforma elettorale promette una guerra persino più aspra di quanto non è accaduto sulla riforma del Senato, è stato Pier Luigi Bersani. «L’Italicum», ha spiegato ieri l’ex segretario, «va modificato, lo capisce anche un bambino. Ci sono le soglie, le liste civetta che prendono voti ma non deputati. E poi bisogna fare in modo che il cittadino possa scegliersi il deputato. Le democrazie che funzionano non sono le democrazie padronali». Tre i punti che si chiede di cambiare: le soglie di sbarramento, soprattutto quelle in basso, le liste bloccate, da sostituire con le preferenze, l’introduzione della parità di genere. Sul fronte della riforma del Senato, tutto è sospeso per il week-end. Lunedì sera Renzi dovrebbe incontrare i senatori del Pd. La mattina dopo in commissione si finirà di votare, esaminando gli emendamenti più spinosi, finora accantonati in attesa dell’incontro di Renzi con Berlusconi. È probabile che su emendamenti non decisivi ci siano modifiche. Ma niente di clamoroso. Mercoledì il testo dovrebbe arrivare in Aula. Se le garanzie che l’ex premier ha dato a Renzi vengono rispettate, non dovrebbero esserci problemi. Al Senato, in ambienti democratici, si calcola che i dissidenti azzurri dovrebbero essere una quindicina. Sommati a quelli del Pd, dei cespugli del Misto e ai grillini, si arriva a una novantina circa. La riforma, con questi numeri, dovrebbe essere salva. «Sempre che Fi non esploda», si aggiunge con qualche preoccupazione nel Pd. Dunque, tutto risolto? Per niente. Chiusa (e solo in prima lettura) la partita del Senato, se ne aprirà un’altra che si annuncia molto più difficile. La minoranza legata a Bersani e Cuperlo e che si riconosce in Area riformista e Sinistra Dem, conta, infatti, all’incirca 40 senatori, che sommati a quelli che guardano a Pippo Civati, anche lui favorevole a modificare l’Italicum, diventano quasi 50. Abbastanza per condizionare la maggioranza renziana del partito. Il ragionamento che si fa da quelle parti è suppergiù questo: caro Renzi, siamo anche disposti a votarti la riforma del Senato, anche se in molti punti non ci convince, ma poi l’Italicum lo devi cambiare. Se no, non contare su di noi. Non è un ricatto, precisa un fedelissimo di Bersani, è che «le due riforme sono legate: se hai già un Senato di nominati, non puoi permetterti di avere una legge elettorale di nominati. Crei un sistema dove un Grande Nominatore sceglie tutto e tutti da solo, dal Parlamento al Csm». E all’obiezione che se si tocca l’Italicum salta l’accordo con Forza Italia, si risponde che «se non si tocca, mezzo Pd non ci sta. Conta più Berlusconi di mezzo Pd?». I propositi della minoranza Pd potrebbero saldarsi, poi, con quelli di Ncd, pronta a tutto pur di modificare l’Italicum. di Elisa Calessi