Mario balla da solo
Monti smetta di fare "il migliore":senza i voti del Cav niente bis
di Franco Bechis In poche ore un capolavoro politico. Ha spaccato il Pdl, e forse in quello una piccola soddisfazione Mario Monti se l’è presa. Però ha spaccato pure il Pd, dove sono in grande imbarazzo quelli pubblicamente hanno sostenuto il governo del professore in questi mesi, mentre tutti gli altri lo infilzerebbero per quel che sta avvenendo in questi giorni. Non si era mai visto un capo di governo che nel giro di una settimana o poco più - avvicinandosi le elezioni - non avesse di meglio da fare che distruggere quella strana maggioranza che fin qui lo ha sostenuto. Compromettendo pure quel rapporto solidissimo con il presidente della Repubblica senza il quale Monti mai sarebbe diventato senatore a vita e tanto meno capo di uno dei governi più anomali che la storia delle democrazie raccontino. E l’operazione fin qui non sembra dare grandi frutti: i primi sondaggi che uniscono un po’ forzatamente Monti a spezzoni transfughi da Pd, Pdl e a vari movimentini di centro dicono che il Prof avrebbe ancora distanze siderali da colmare con il vincente di turno, Pierluigi Bersani a braccetto con Nichi Vendola. Dodici-tredici punti di distacco con pochissime settimane davanti per recuperare. Impresa quasi impossibile, e in ogni caso adatta solo a un trascinatore di folle, capace di parlare alla pancia del Paese, di convincere gli indecisi, di ribaltare ogni previsione. Che queste non siano le caratteristiche di Monti, è evidente a molti. Probabilmente meno al diretto interessato, più abituato a conferenze di alto lignaggio che a parlare alle piazze. Ci sarà anche questo nei continui tentennamenti sul suo futuro politico del premier in carica. E una naturale paura: l’ostilità nei suoi confronti è sempre più manifesta anche da parte della classe dirigente. Qualche brivido sarà anche corso sulla schiena leggendo la sibilante intervista di Massimo D’Alema, presidente del Copasir, sulla immoralità della candidatura Monti, non priva di qualche avvertimento. E subito dopo il faccia a faccia al Quirinale. Nelle fila del Partito democratico la raccontano orgogliosi: «Giorgio Napolitano l’ha messo in riga. Ha spiegato a Monti che un bis non ci sarà. Il prossimo incarico sarà dato a chi ha vinto le elezioni, e alla Camera con certezza un vincitore ci sarà». In questo clima, davvero c’è da chiedersi cosa mai può spingere Monti a scendere in campo per un’impresa che sembra disperata, inadatta alle sue caratteristiche e assai rischiosa anche per il patrimonio di credibilità che il professore ha comunque accumulato in questi anni. La spinta viene da fuori, è indubbio. A volere Monti sono i mercati, alcuni stati forti della Ue, il vertice del partito popolare europeo. Con un sussulto di dignità patria Napolitano ha sgombrato il campo dai dubbi: non saranno questi soggetti a decidere le prossime politiche, ma gli elettori. E non ci saranno più le condizioni per un governo anomalo come quello dell’ultimo anno. Per andare a palazzo Chigi Monti deve vincere le elezioni. Per vincerle dovrebbe superare ogni idiosincrasia personale (anche quella per Silvio Berlusconi e naturalmente il dispetto nei confronti di quell’Angelino Alfano che bruscamente gli ha staccato la spina), ed essere il più inclusivo possibile (accettando la federazione di tutti, Pdl compreso sotto la sua candidatura). Non solo: dovrebbe vincere le resistenze di gran parte dell’elettorato di centrodestra che non lo vuole, cambiando passo e prendendo almeno in parte le distanze da questi mesi di governo. E poi affrontare l’inevitabile: essere nemico (politico) anche di chi lo ha sostenuto in questi mesi, come il Pd. Se la va, torna a palazzo Chigi. Se la spacca, bisogna avere la pazienza e il passo lungo di un leader politico: verrebbe compromessa ogni chance di corsa verso il Quirinale, perduta ogni caratteristica di un senatore a vita e con il tempo potrebbe tentare di trasformare il centro destra e attendere una seconda chance. Un menù da grande passione politica, e chissà se è questa a muovere il Prof. Perché se non c’è, davvero, chi glielo fa fare di buttare via così un patrimonio?