Il retroscena
La minaccia del governicchio:un esecutivo lampo anti-Pdlper un blitz pre-elettorale
di Fausto Carioti E se il governo Monti non fosse l’ultimo di questa legislatura? È l’ultimo spauracchio agitato (con un certo successo) dalla sinistra per intimorire il partito di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. All’origine del progetto, raccontano esponenti del Pd che vantano agganci col Quirinale, c’è lo stesso Giorgio Napolitano. Tra i possibili percorsi alla sua attenzione ce n’è infatti uno che risulterebbe assai sgradito al Pdl. Napolitano il 16 novembre aveva diviso le “cose da fare” entro la fine della legislatura in due elenchi. Uno, quello degli «adempimenti prioritari e ineludibili», comprendeva l’approvazione finale della legge di stabilità e della legge di bilancio, alle quali bisogna poi aggiungere provvedimenti economici fondamentali come il decreto sviluppo. Il secondo elenco conteneva la sola revisione della legge elettorale, ritenuta «altamente auspicabile». E se per il primo elenco c’è bisogno di Monti a palazzo Chigi, per la legge elettorale il discorso è diverso. Approvati i provvedimenti economici e giunti quindi - calendario alla mano - attorno a metà gennaio, il governo avrebbe esaurito il proprio compito, visto che lo stesso Pdl non intende mantenerlo in vita più a lungo. Lo stesso Alfano ieri è stato chiaro: «Consideriamo conclusa l’esperienza di questo governo». Ma Napolitano potrebbe chiedere a Monti un passaggio in Parlamento, la richiesta di un formale voto di fiducia, anche per mettere ogni partito dinanzi alle proprie responsabilità. Al termine di questo voto, dati per scontati il “no” e la compattezza del Pdl (tutti da dimostrare, ovviamente...), Monti non avrebbe più la fiducia delle Camere. A questo punto nulla vieterebbe al Capo dello Stato di affidare a un altro personaggio il mandato di fare un nuovo governo. È già girato - anche su Libero - il nome dell’ex presidente del Senato Franco Marini. Ma nei giorni successivi sono spuntati anche i nomi di ex presidenti della Consulta, o comunque di illustri esperti di diritto costituzionale, alla guida magari di un esecutivo “light”, formato da una decina di ministri. Una simile compagine avrebbe infatti un compito molto preciso e limitato: scrivere il disegno di legge - ma c’è chi ipotizza persino l’uso del decreto - di riforma delle regole del voto e, esaurito l’iter di questo provvedimento, portare il Paese alle urne. Trovato l’accordo politico, si può fare tutto anche in tempi molto brevi. Al punto da riuscire ad andare alle urne il 10 marzo. Se questo esecutivo avesse la fiducia del Parlamento sarebbe meglio, ma in caso contrario non cambierebbe molto: il governo, a questo punto di minoranza, entrerebbe in carica già al momento del giuramento. E siccome non ci sono dubbi sull’opposizione del Pdl e della Lega, questo - a differenza di quello guidato da Monti - sarebbe inevitabilmente un governo orientato a sinistra. Il centrodestra avrebbe ottime ragioni per gridare alla forzatura istituzionale, ma il Quirinale potrebbe opporre la sentenza della Corte costituzionale del 2008 che giudica inadeguata l’attuale legge elettorale, perché non prevede il raggiungimento di alcuna quota per la concessione del premio di maggioranza. Il Parlamento, peraltro, sarebbe libero di approvare la riforma o di respingerla. Che legge elettorale potrebbe scrivere un simile governo? L’unica possibile: quella che tiene conto dei rilievi della Consulta e viene incontro alle esigenze di chi la vota in Parlamento. In altre parole il Pd accetterebbe di fissare una soglia per il raggiungimento del premio di maggioranza, ovviamente disegnata in modo tale da non penalizzarlo (anzi). Verrebbe inserita qualche forma di scelta sui nomi dei candidati da parte degli elettori – una quota di preferenze, magari in aggiunta a un sistema basato sui collegi. E in cambio della rinuncia all’amato Porcellum otterrebbe anche al Senato un premio unico di maggioranza nazionale (e non più venti premi regionali), sebbene spalmato tra le diverse regioni in modo proporzionale agli abitanti. Svanirebbe insomma la grande paura di Pier Luigi Bersani, che al tempo stesso è la grande speranza di Berlusconi: un Senato nel quale il centrosinistra non ha la maggioranza assoluta dei seggi, e che quindi non è in grado di sostenere il primo governo Bersani. Ipotesi complessa, senza dubbio. Che deve tenere conto dei tempi, davvero molto compressi, e di tante variabili incontrollabili. Ma nel Pd c’è chi ci crede e nel Pdl c’è chi la teme, guardando con crescente diffidenza al Quirinale. E già questo qualcosa vuol dire.