Resa tecnica
Monti, ora non è più sicuro di restare in campo
di Marco Gorra Dalla prospettiva di aspettare che venissero ad implorarlo di scegliere se gli garbava di più Palazzo Chigi o il Quirinale a quella di doversi accontentare del proprio scranno da senatore a vita. Nel breve volgere di qualche giorno, l’orizzonte politico di Mario Monti si è fatto oltremodo fosco. Per la prima volta da dodici mesi a questa parte, il presidente del Consiglio guarda al proprio futuro post-elettorale con viva preoccupazione. Il suo destino è appeso a un filo. Colpa - o merito, a seconda dei punti di vista - del grande balzo in avanti performato mediante primarie dal Partito democratico. Che, forte di sondaggi al 40% e di una ritrovata fiducia nella causa della vocazione maggioritaria, di pagare pegno a Casini e compagnia montiana (natura del pegno: poltronissima per il Professore) ha improvvisamente pochissima voglia. Lo smarcamento vagheggiato dal Pd nei confronti di Monti è duplice: sia per quanto riguarda Palazzo Chigi (che, con una coalizione di centrosinistra vincente alle elezioni sarebbe appannaggio automatico di Pier Luigi Bersani) sia per quanto riguarda il Quirinale, nella corsa per il quale nessuno a sinistra ha voglia di fare il portatore d’acqua (per giunta gratis) onde propiziare la scalata del Professore. Nel partito, la tentazione di piazzare sul Colle più alto Romano Prodi (e in panchina c’è sempre Giuliano Amato pronto a togliersi la tuta) si va facendo strada. Se il professore gira la testa per guardare alla propria destra, poi, il quadro peggiora. Se già dalle parti del Pdl l’uomo in loden era stato poco simpatico sin dall’inizio, le recenti frizioni quanto ad election day e legge sull’incandidabilità dei condannati hanno scavato una trincea incolmabile. Fatto salvo un manipolo di montiani ortodossi (i quali non a caso non fanno mistero di valutare ricollocazioni in contesti più consoni alle proprie convinzioni), nel centrodestra per il premier non c’è trippa. Il guaio è che nell’unico posto dove la trippa ci sarebbe, ovvero il centro casinian-montezemolioano, le porzioni sono da dieta ferrea. Udc, Fli e Italia futura insieme fanno sì e no il 10% e, viste le prospettive, corrono il serio rischio di finire in posizione di irrilevanza nel prossimo Parlamento. E se su quel progetto Monti dovesse investire in prima persona solo per arrivare ad un verdetto delle urne che stabilisca che, di quel progetto, tutto sommato si può fare a meno, la musata contro il muro sarebbe notevole. Le aperture, strettamente riservate, che nelle scorse settimane erano arrivate da Palazzo Chigi ai promotori della tecno-cosa bianca sono state temporaneamente sospese. Troppo rischioso legare il proprio volto ad un’operazione che rischia di naufragare. Questo il quadro, a Monti non resta che trincerarsi dietro l’unico alleato che gli sia rimasto fedele nei mesi: lo spread. Di fronte alle intemperanze anti-rigoriste che sono nel centrosinistra manifeste e nel centrodestra futuribili, il presidente del Consiglio ha iniziato a mandare segnali di fumo. Il cui succo è: io ho riportato lo spread sotto 300, se adesso i mercati e le cancellerie internazionali si spaventano e lo