Stop al folklore
La sfida della Lega:più Nord, meno Pontida
Ho sempre detto e pensato che la Padania fosse una questione politica più che territoriale. Un modo più incisivo per mettere a fuoco la questione settentrionale col suo carico di questioni aperte. L’intuizione padana, all’inizio, fu un asso calato da Bossi sul tavolo della politica romana. Il Senatur scompigliò i giochi al fine di dare corpo e sostanza a quel gigante economico privo di rappresentanza politica, un gigante che già a metà degli anni Novanta aveva chiaro che il futuro in un paese come l’Italia sarebbe stato fortemente in salita con la globalizzazione alle porte. La Lega, ripeto, dava voce a questo mondo, esaltava il modello dei distretti, del «piccolo è bello» mentre attorno tutti gli altri lo ridicolizzavano. Bossi ci vide giusto, eppure il localismo lombardoveneto da solo rischiava di avere il fiato corto; così Bossi rinsaldò il legame col brianzolo Berlusconi attraverso Brancher e Tremonti. Non sto a riepilogare gli sviluppi della vicenda, soprattutto l’epilogo, perché li conosciamo bene. Mi basta mettere in chiaro che la crisi del berlusconismo e del bossismo prescinde dagli aspetti giudiziari: quelli sono stati il colpo definitivo. La crisi di quella rappresentazione politica è ancora dentro i capannoni: i cumenda hanno finito di credere ai due leader nordisti perché avevano capito che dietro slogan giusti, che dietro predicati sacrosanti, non c’era nulla. E al nord contano i risultati non le chiacchiere. Tutt’un tratto nei capannoni – dove pure il racconto leghista aveva fatto presa – i simboli di Bossi sono diventati ingombranti, pesanti. Per non dire dei ridicoli gestacci. «Dicono Roma Ladrona e poi non si muovono da Roma!», era diventata una voce sempre più insistente persino nei feudi prealpini (tant’è che nelle recenti amministrative i voti si sono persi per strada). Dal sostegno incondizionato ad uno scarico governo Berlusconi fino alle vicende della coppia Belsito-Rosi Mauro passando per la candidatura del figlio Renzo, Bossi aveva trascinato tutta la Lega nel baratro. Bossi e i vari Calderoli, Castelli, Cota, Reguzzoni eccetera. L’unico che si salvava era Roberto Maroni, «un ministro concreto». Non è quindi per caso che oggi solo Maroni può riportare il Carroccio sulla strada delle origini, sebbene con fatica. Come? Ripartendo dal territorio e da chi quel territorio lo sta servendo: i sindaci. Ripartire dal territorio non significa più piantonarlo coi gazebo e coi volantini (questo bastava quando si aveva il vento in poppa), e non significa nemmeno più esaurire il racconto nordista nelle kermesse di Pontida e di Venezia divenute col tempo manifestazioni scariche perché scarica era la pistola leghista. Nelle ultime edizioni su quei palchi la Lega ha mostrato rughe e fiato corto, pertanto la polemica Pontida sì Pontida no in sé non ha più senso: Pontida avrà un senso – come lo ebbe in passato – se c’è un messaggio politico che ne regge il peso. Maroni ha un messaggio politico forte? Se il preambolo tiene, direi di sì: più della Padania oggi conta rimettere l’accento sul Nord. La Padania bossiana non solo divide, è una scatola vuota; il Nord invece torna a essere il tema politico, in quanto maltrattato dal governo Monti. Il Nord è un tema di cui Pd e Terzo Polo non ne avvertono il peso specifico (al di là delle chiacchiere) e di cui il Pdl è completamente a digiuno visto che la sua attuale dirigente è un concentrato di romanocentrismo nauseante. La traversata nel deserto settentrionale sarà lunga, dovrà unire i suoi diversi puntini e soprattutto dovrà essere immune da qualsiasi tentazione roman-cadregara. Per essere un forte partito local sulla falsariga dei bavaresi o dei catalani, Maroni deve parlare con le imprese e coi lavoratori; deve tenere le distanze col potere centrale e deve considerare questa Europa un nemico. Infine, Maroni deve far scordare alla gente del Nord ogni ridicola provocazione, ogni volgarità e ogni scorciatoia folcloristica. Serietà e concretezza sono stati i suoi punti forti al ministero dell’Interno, ora siano i suoi punti cardinali come segretario del Carroccio. Solo così può dare un senso politico alla nuova Lega. Che poi è quella delle origini. di Gianluigi Paragone