Spending review
Comuni, sprechi e tasse:Monti, sforbicia qui
Le ultime finanziarie hanno messo la camicia di forza ai bilanci dei Comuni. Nel 2011 contro i tagli c’è stato uno sciopero degli amministratori che hanno voluto ribadire l’importanza dei Comuni per i servizi alla società: trasporti locali, raccolta e trattamento dei rifiuti, asili nido, ordine pubblico, vari compiti di assistenza. Ma le colpe non sono solo delle forbici statali né delle mani bucate di certe amministrazioni. La spending review dei Comuni è molto complicata. L’intento del federalismo sarebbe di collegare la spesa agli enti più vicini ai contribuenti e agli introiti fiscali del territorio. In questa direzione, uno studio del 2006 dell’Università dell’Insubria e di Ferrara, applicato a un centinaio di Comuni campione, ha dimostrato che un giusto collage tra l’applicazione dei costi standard e il fondo perequativo fiscale potrebbe generare fino al 20% di risparmio senza dover intervenire sui servizi. In poche parole: la spesa media dei comuni al 2008 in Italia è stata di 1.341 euro per abitante, con una netta prevalenza delle uscite correnti (836), su quelle in conto capitale (393) e per il rimborso dei prestiti (112 ). Vorrebbe dire poter risparmiare circa 270 euro per cittadino. Niente male. Ma, in realtà, le cose funzionano in modo del tutto diverso. Gli Enti virtuosi sono stati penalizzati e quelli «spendaccioni» possono continuare a ricevere trasferimenti in base ai costi storici. Poi ci sono i debiti. I messi peggio, come Torino e Milano, hanno debiti superiori al 200% delle entrate correnti. Non è un caso se un sindaco come Giuliano Pisapia, oltre a un discutibile piano di dismissioni, abbia in poco tempo alzato l’Irpef con l’obiettivo di prelevare doppiamente dalle tasche dei cittadini. C’è poi la sproporzione delle risorse. A Trento e Bolzano affluiscono sotto forma di trasferimenti entrate per abitante 4 volte superiori a quelle del Veneto. Napoli è il comune che spende proporzionalmente di più, la spesa pro capite viaggia al 130% rispetto alla media nazionale. Mentre il gettito fiscale pro capite è solo il 64% della media nazionale. Altri comuni che spendono in proporzione molto di più rispetto al gettito che generano sono Palermo, Cagliari, Potenza. Anche per quanto i riguarda i servizi, grandi differenze. A Napoli si paga una tassa sui rifiuti superiore di circa il 50% alla media nazionale. Palermo è la città dove il trasporto pubblico è più costoso. Uno studio dell’Ocse sulla dinamiche delle tariffe pubbliche attribuisce questa situazione alla scarsa concorrenza. Secondo la Banca d’Italia i servizi costano in Italia mediamente il 20% in più rispetto al resto d’Europa. All’interno dei comuni proliferano aziende a controllo pubblico, occasione per piazzare amici e parenti. I comuni italiani controllano più di 3000 imprese che contano 38000 poltrone. Poi c’è la gestione del personale. Vibo Valentia qualche anno fa ha registrato un record assoluto: ha avuto malati per più di un mese lavorativo all’anno. Se poi dalla malattia si passa al tasso di assenze tutto compreso - ferie, malattie, permessi retribuiti - si vede la differenza tra pubblico e privato: negli uffici pubblici questo tasso, si attesta al 20,1%, cioè il 54% in più rispetto alla media nelle grandi aziende (che si fermano al 13,1%). Inoltre la maggioranza dei comuni non applica le nuove normative regionali in tema di energia e illuminazione. In un recente convegno dell’Ansaf (associazione nazionale specialisti agenti fisici) si è calcolato che i comuni della sola Frosinone potrebbero risparmiare il 60% dei costi complessivi. Solo Frosinone risparmierebbe circa 200mila euro all’anno. In generale le amministrazioni locali se decidessero per il risparmio energetico si terrebbero in tasca ben 400 milioni di euro all’anno. C’è quindi spazio per ridurre le spese anche nei Comuni e c’è soprattutto il dovere da parte dello Stato di ripartire le spese comunali in modo più equo. di Claudio Antonelli