Il colloquio
Gabriele Albertini: "Gli errori di Beppe Sala? Sicurezza, verdi e poca reattività"
Sul telefonino di Gabriele Albertini è appena arrivato il whatsapp del “carissimo” Enrico Mairov, professore di medicina e presidente dell’Unione democratica degli amici d’Israele, che racconta di essere stato tamponato con violenza da una Bmw bianca in piazza Siena mentre posteggiava la macchina, «il conducente è sceso in fretta, ha abbozzato due scuse ed è scappato senza neppure preoccuparsi del danno causato alla vettura e della botta tremenda provocata a Mairov, che non stava in piedi per lo spavento e per le vertigini. Tanto per capirci..».
Albertini, delle due l’una: Milano allo sbando o Sala vittima di un complotto mediatico-politico?
«In primis vorrei esprimere tutta la mia solidarietà personale a Beppe Sala. So che cosa vuole dire fare il sindaco di una grande città. È un ruolo che racchiude responsabilità istituzionali confrontabili a quelle di un ministro di primo piano. E responsabilità gestionali pari al presidente di una holding con circa 40mila dipendenti che deve offrire servizi di qualità a clienti che sono anche azionisti della holding stessa, rispondendo in prima persona delle questioni importanti ma anche delle minuterie del chiacchiericcio di condominio. L’è un laurà della madona».
Ma non era il mestiere più bello del mondo?
«È il mestiere più bello del mondo dopo che lo hai fatto. Se lo stai facendo è il più difficile. Detto anche da ministri e vice premier che sono stati sindaci come Veltroni, Iervolino, Rutelli e Bianco. Inoltre Sala si trova ad affrontare una situazione molto più complessa della nostra che era già molto critica per la scia di sangue che ci fu nel ’99».
I famosi 9 omicidi in 9 giorni. La città che si frastornava di botti e champagne e i primi tre corpi che cadevano in piazzale Dateo sotto i colpi di killer spietati come nelle peggiori tradizioni della mala milanese o della mafia.
«Giorni terribili e concitati. Quei fatti tremendi causarono la visita a Milano del presidente del Consiglio D’Alema, del ministro dell’Interno Iervolino e dei vertici delle tre forze dell’ordine...».
Pareva impossibile uscirne.
«Eppure affrontammo l’emergenza, e in parte la risolvemmo, riducendo i reati predatori del 34% in soli due anni, da 154mila a 102 mila. E rigenerando un corpo di polizia municipale che, dopo 18 mesi di scioperi, agitazioni continue e due precettazioni aveva finalmente ritrovato la deontologia professionale e il senso della sua missione».
Nacquero lì i famosi vigili di quartiere.
«Esattamente. E rappresentarono da subito un presidio territoriale importante contro il crimine e un aiuto di prossimità per i cittadini. Ma non ci limitammo a quello: mettemmo 60mila punti luce e telecamere nelle zone a rischio, e primo sindaco in Italia mi trovai a co-presiedere il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza insieme al prefetto Sorge. Il protocollo d’intesa venne firmato alla presenza di Napolitano ministro dell’Interno come notaio».
Adesso cosa c’è di diverso?
«Il vostro giornale ha riportato una statistica interessante secondo cui i reati predatori, negli ultimi 4 anni, sono aumentati del 50% ed è proprio questo tipo di crimini che influenza la percezione di sicurezza perché tocca tutti e colpisce indistintamente. Chiunque può essere vittima di borseggi, furti, aggressioni, e sentirsi sotto minaccia. Diversamente dall’omicidio tra bande, che resta confinato nel gruppo criminale».
Ma Sala si attacca proprio a questa “percezione del crimine” per ridimensionare il problema.
«Invece bisogna stare attenti perché il percepito non è molto distante dalla realtà. Se è vero che i reati predatori sono il 50% in più allora è vero che il pericolo esiste. Vorrei però chiarire un punto».
Quale.
«Secondo le statistiche più recenti 3 aggressioni su 4 sono commesse da immigrati ma il politicamente corretto che affligge la sinistra impedisce di dirlo. Non ce l’ho con gli immigrati, è questione di realtà e buonsenso. Nel percorso di 300 metri che spesso compio da pensionato per andare da casa alla farmacia incontro tre giovani palestrati di colore, educati e perbene, che non mi chiedono la carità e mi salutano con cortesia, forse consci che il saluto servirà a ottenere qualche soldino. Qui da noi hanno vitto e alloggio assicurati, e sono liberi di andare in giro tutto il giorno. Pensiamo davvero che questi giovanotti passino la loro giornata a fare i piantoni davanti a un negozio? Si annoiano e non sanno cosa fare. Tre su quattro finiscono ammaliati dalla criminalità. E si convincono che sia meglio spacciare per conto di un pusher guadagnando una montagna di denaro in poche ore, che lavorare duramente per uno stipendio onesto e modesto».
Dunque è colpa è dell’ondata migratoria?
«Beh Sala si trova ad affrontare 150mila persone che arrivano ogni anno in Italia, di cui almeno 15mila a Milano».
Ma è stata la sinistra a predicare un’accoglienza indiscriminata.
«E le ricordo che Pisapia non volle più i militari per le strade, perché gli ricordavano Pinochet, il golpe e l’idea di una società militarizzata. Mentre Vendola da governatore della Puglia aprì le porte agli immigrati invitando ad accoglierli tutti. Pisapia era avvocato figlio di un gigante del diritto e dovette dissociarsi almeno a parole».
Troppo buonismo fa male.
«Nessun crimine può soverchiare la forza di centinaia di migliaia di poliziotti, agenti di finanza o carabinieri. Questa amministrazione ha sottovalutato il problema e ignorato la realtà. Ora Sala tenta di rimediare chiamando Gabrielli come simbolo e annunciando l’assunzione di nuovi vigili».
Basterà?
«Io dico che una riorganizzazione della sicurezza sulla base di interventi militari deve essere nell’orizzonte di un’amministrazione e di un governo cittadino. Quei vigili devono essere considerati a tutti gli effetti un corpo di polizia vera, dotiamoli di taser e mettiamoli a presidiare l’ordine e la sicurezza. Non solo a far multe».
A Milano è anche esploso il fenomeno delle baby gang.
«In effetti c’è una gioventù che non ha più valori ed è priva di interessi e di senso della disciplina. Noi nel ’68 avevamo “l’imagination au pouvoir”. Adesso c’è “la sensazione al potere”. Gang violentissime composte anche da virgulti della borghesia piccola e media che si divertono a commettere abusi di gruppo spesso su giovanissimi coetanei. C’è qualcosa di tragico in una famiglia che non solidarizza con il maestro e ricorre al tar o piglia a schiaffi il prof se il figlio prende un brutto voto. Significa essere solidali “Verso una società senza padre”, Alexander Mitscherlich fu profetico nel ‘63».
Ma cosa pensa dell’ondata di vip che denunciano violenze e criticano Sala? Molti sono di sinistra.
«Non c’è nessuna differenza tra destra e sinistra quando uno è vittima di un’aggressione. Viceversa c’è una differenza sostanziale tra destra e sinistra nel modo di intervenire per porre un argine al crimine. Per la sinistra il crimine è colpa della società e il responsabile non va punito. Per la destra è responsabilità di chi delinque e allora il colpevole va punito ed educato. Cos’è il buon governo? “Rendere la vita difficile per i delinquenti e facilitarla per i bravi e onesti cittadini”, Clemanceau e Don Bosco la pensano così».
Crede anche lei che Sala sia vittima della sua maggioranza?
«Quello che posso contestare a Sala, abbracciandolo, è il fatto di non essersi adeguatamente dissociato dai verdi talebani che gli hanno imposto con pressioni assurde piste ciclabili e concentrato ogni sforzo nella lotta alle auto dimenticando che lo smog è prodotto per l’8% dalle auto e per l’82% dalla produzione industriale, dalla produzione di energia e dal riscaldamento».
Difficile uscirne però.
«Un sindaco sceglie i suoi assessori e li cambia. E ha la possibilità di sciogliere le camere purché sciolga se stesso. Se la maggioranza non è coerente con le scelte della campagna elettorale e col bene della comunità e segue invece un’impostazione faziosa lui può dire: sapete che c’è? Io me ne vado e voi con me».
Lei era il sindaco con la lettera di dimissioni in tasca.
«Le ho minacciate tre volte. Era scritto nella lettera che vergai il primo giorno da sindaco. Se vengono meno le condizioni, lascio».
Ha visto l’Arco della Pace imbrattato? Sala è stato tiepido con quei ragazzi.
«Uno scempio. Ma torniamo al problema di prima. Sala si lascia condizionare in maniera impropria ed esagerata dai verdi talebani».
E sulla guerra in corso? Cinque settimane per approvare una mozione dimezzata in Comune e nessuna condanna ufficiale rispetto a manifestazioni di piazza in cui si inneggia spesso Hamas.
«È incredibile. Possibile che su Regeni ci sia un manifesto che ingiallisce su Palazzo Marino ed è un monito contro le violenze e non ci sia stata una parola ufficiale per gli ostaggi israeliani presi da un atto di aggressione terroristica e violenta? Non servono sforzi interpretativi su Hamas, basta essere coerenti con quel che pensa il mondo civile. Hamas che vuole la cancellazione dello Stato ebraico ricorda solo la conferenza di Wannsee del gennaio ’42 che programmò “la soluzione finale” del problema ebraico».
Ma perché scusi non si è candidato lei?
«Avrei rivissuto da carnefice e vittima quella nuova fattispecie di reato: il sequestro di persona del consenziente (come avevo definito la vita da sindaco di Milano) e una sicura crisi coniugale essendo mia moglie contrarissima, oltre a ridurre considerevolmente il mio reddito».