La manovra
Sandro Iacometti: affitti brevi, era proprio necessario?
Tante conferme e alcune novità, non proprio gradite. L’impianto complessivo della manovra resta quello annunciato una decina di giorni fa al termine del Cdm che ha approvato il Documento programmatico di bilancio. E il giudizio resta invariato. Il principale difetto consiste nella scarsità di risorse su cui, piaccia o no, il governo ha poche responsabilità. Da una parte la congiuntura economica dovuta alle guerre e all’azione depressiva della Bce per tentare in maniera un po’ maldestra di combattere l’inflazione, dall’altra l’enorme debito pubblico ereditato e il ritorno del patto di stabilità Ue. Gli spazi di manovra erano strettissimi e il governo, per insistere sul taglio delle tasse per i redditi medio bassi senza sfasciare i conti (S&P ha già promosso la scelta), ha dovuto optare per la soluzione non strutturale (il prossimo anno bisognerà rifinanziare le misure), che comunque si è mangiata, tra sforbiciata al cuneo e accorpamento delle aliquote Irpef, circa 15 miliardi sui 28 complessivi di stanziamento.
Poi ci sono diversi miliardi piazzati sul rinnovo dei contratti pubblici, compresi quelli delle forze dell’ordine e del corpo insegnante, da tempo sottopagati, e quelli della sanità, spolpata in passato e ora bisognosa di nutrimento. Altre risorse assolutamente ben spese sono quelle dedicate a spingere l’occupazione, ad aiutare le imprese, a sostenere il lavoro delle donne con figli sia attraverso una inedita e benedetta decontribuzione sia con il bonus maggiorato per gli asili nido sia con il rafforzamento dei congedi parentali. Poi ci sono le pensioni. E già qui qualche conto inizia a non tornare. Mettiamo da parte gli interventi contromano sulla flessibilità in uscita e l’introduzione di quota 104, per giunta con penalizzazioni. Per quanto invisa e detestata, per superare la legge Fornero servono quattrini, tanti. E i saldi di bilancio apparecchiati dai precedenti governi hanno lasciato solo briciole. Ma la previdenza riguarda anche chi l’assegno lo prende già.
Nulla da dire sul tentativo di dare una mano a chi mette in tasca quelli più bassi, aumentando le minime e rivalutando pienamente quelle fino a 4 volte l’assegno base. Ben venga anche l’idea di aumentare l’adeguamento dall’85 al 90% per quelle tra 4 e 5 volte il minimo (circa 2.500 euro). Ma che bisogno c’era di andare a recuperare soldi su quelle più alte (sopra 10 volte il minimo, circa 5mila euro), tagliando la rivalutazione da un già basso 32 al 22%? Forse la mossa potrà anche strappare un sorriso a grillini e dem, sempre pronti a spennare i ricchi. Ma il centrodestra dovrebbe sapere bene che le pensioni più generose sono le uniche interamente coperte dai contributi, ovvero sudate e guadagnate creando ricchezza nel corso della vita, proprio quelle categorie che Giorgia Meloni fin dall’inizio ha detto di voler tutelare, mentre quelle più basse appartengono all’altra metà degli assegni che sono parzialmente o del tutto assistiti, ovvero a carico della fiscalità generale.
Ma c’è di peggio. Piegandosi alle richieste degli albergatori (che forse andavano aiutati in altro modo) il governo ha deciso di colpire i proprietari di casa. Non i palazzinari o i grandi costruttori, ma quelle centinaia di migliaia di famiglie (che rappresentano oltre il 90% del comparto) che per evitare di farsi occupare l’immobile da un inquilino moroso cercano di sbarcare il lunario con gli affitti brevi. Ebbene dal prossimo anno invece del 21% pagheranno sui proventi il 26% di tasse. Un balzo che in media ai proprietari costerà quasi mille euro l’anno, ma che di certo non riempirà le casse dello Stato. Era davvero necessario un tale sgambetto da parte di un governo che sta cercando in tutti i modi di difendere la casa dai continui e devastanti eco-assalti che arrivano dalla Ue?