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Anagni, maxi-multe e blocco della pubblicazione: serve un freno all'orrore sul web
Niente di nuovo, solo l’ennesimo segno dei tempi. Un gruppo di adolescenti deficienti che le cronache locali definiscono «figli di famiglie benestanti di Fiuggi», forse perché ubriachi o forse perché così di natura, ha ucciso a calci una capretta bianca e marrone che si era avvicinata ad uno di loro per giocare. È successo in un agriturismo, durante la festa per il diciottesimo compleanno di un’amica degli inutili idioti. Il tutto, come da recente tradizione, ad uso e consumo dei social network: il minus habens che infieriva sulla povera creatura è stato filmato ed incitato dal branco, e il video dell’eroico gesto è finito pochi minuti dopo su Instagram. E da lì, per dirla con la frasetta fatta che si usa in questi casi, «è diventato virale».
Ora, sui giovani cretini non c’è molto da dire. Un anno nelle miniere (Adolfo Urso ha appena promesso di riaprirle) o a spalare m***a di capra in una fattoria può forse fare di loro degli adulti decenti. Difficile, ma sono giovani e vale la pena di provarci. C’è parecchio da dire su Instagram, invece. Mark Zuckerberg, quello di Facebook, se lo comprò nel 2012 per un miliardo di dollari; dieci anni dopo, grazie ai video e alle fotografie pubblicati dagli iscritti, fattura oltre 50 miliardi di dollari l’anno in pubblicità ed è usato almeno una volta al mese da oltre due miliardi di persone, in gran parte giovani: sette su dieci hanno meno di 35 anni. In Italia il gruppo cui appartiene, Meta, incassa 350 milioni di euro, ma il solito giro di scambi con la consociate estere gli consente di pagare qui meno di 3 milioni di euro di tasse. Una macchina efficiente e rimessa continuamente a punto: tra le cose di cui Zuckerberg va più orgoglioso c’è il nuovo sistema di intelligenza artificiale che consiglia agli utenti i nuovi contenuti da guardare.
SOLDI E POTERE SENZA RESPONSABILITÀ
In breve: tanta tecnologia e tanti soldi. Quindi tantissimo potere, al quale non corrisponde altrettanta responsabilità. Né dal punto di vista fiscale, come visto, né da quello del business.
Gli iscritti mettono online ciò che vogliono perché tutto porta visualizzazioni e contatti pubblicitari, e semmai si rimedia ex post, rimuovendo i rifiuti fognari dopo che hanno già iniziato a circolare sulla rete digitale, cioè troppo tardi. Vale anche per YouTube, che appartiene al gruppo Google e su cui si esibivano, con le loro sfide, i cretini che due mesi fa, a bordo di un suv Lamborghini, hanno ucciso un bambino di 5 anni a Casal Palocco, nella periferia di Roma. E vale per tutti i social network, che usano parole come «libertà» e «democrazia» per giustificare la mancanza di controlli preventivi. Allora è il caso di prendere in parola Giorgia Meloni, che l’altro giorno, aprendo il consiglio dei ministri, ha detto che bisogna «far tornare il più possibile la politica». Lei e tutti quelli che la pensano così. La censura non c’entra: mettere online certe barbarie non è un esercizio di libertà, ma l’incitazione ad esibire i lati più bestiali (con tante scuse alle bestie) dell’essere umano e l’invito ad avviare la gara a chi sa fare di peggio.
IL RUOLO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Basta che i social network, come fa qualunque testata giornalistica dotata di un direttore responsabile, controlli i “contenuti” prima che finiscano a disposizione di chiunque. Se la manodopera necessaria costa troppo per le tasche di Zuckerberg e compagni, c’è la meravigliosa intelligenza artificiale di cui si sono attrezzati: se è accurata al punto da consigliarci i video che ci possono piacere, può anche capire se in uno di essi c’è il massacro di una capretta o un elogio della pastorizia. Che può fare «la politica»? Può rendere ai privati conveniente impedire che certe cose finiscano in rete. Un milione di euro di multa per ogni video di sevizie agli animali che viene messo online e due milioni se il maltrattato è un essere umano sono ottimi deterrenti. E se quelli li pubblicano lo stesso, può impedire che certe immagini o il sito che le ospita siano visti nel nostro Paese. Ogni Stato ha una serie di “ip”, indirizzi di protocollo internet, che identificano chi si connette dal proprio territorio, e questo consente di mettere filtri, come quelli che impediscono ad un italiano di vedere la versione statunitense di Netflix. Certo che ogni barriera del genere può essere aggirata: esistono le reti private virtuali (Vpn) e altri sistemi per eluderle. Ma non si tratta di impedire l’accesso a chiunque, bensì di renderlo difficile agli utenti generici quanto basta per far crollare le visualizzazioni di certi contenuti e con esse i “like” e il resto del Circo Barnum digitale nel quale scorrazzano ricchi e impuniti Zuckerberg, Elon Musk e gli altri. Dei quali è l’impunità che deve indignare, non la ricchezza. Ma è sui soldi che bisogna colpirli per renderli responsabili di ciò che fanno.