Paese sotto choc

Stupri, problema culturale? Sarà, ma a Caivano ora ci vuole più polizia

Lucia Esposito

Il Parco Verde di Caivano non è un parco ma un insieme di palazzi che di verde hanno solo le facciate, peraltro sbiadite. Se l’inferno ha degli indirizzi in questo mondo, uno di questi è l’agglomerato a Nord di Napoli. Si raggiunge attraversando l’asse mediano, una lingua d’asfalto che, dal capoluogo campano, arriva fino alla periferia sud di Caserta. Il Parco Verde è un non-luogo. Palazzoni costruiti un anno dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980 grazie alla legge 219 che prevedeva la creazione di alloggi per oltre tremila sfollati. Costo: millecinquecento miliardi di lire fuori bilancio.

Erano state previste strutture, servizi, impianti, giardini, ma è rimasto solo il cemento. Negli anni il Parco è diventato un ghetto dove le strade hanno i nomi dei fiori ma a sbocciare è solo il traffico di droga che si consuma a tutte le ore in dodici piazze che, insieme, formano la quarta zona di spaccio più grande d’Europa. Dietro, ovviamente, c’è la regia e il controllo dei clan della camorra. Su circa seimila abitanti, mille campano vendendo eroina sotto gli occhi di tutti fino alle nove di sera e i bambini giocano tra le siringhe e crescono pensando che sia tutto normale, che fare il pusher sia un mestiere vero che ti fa diventare ricco e ti permette di comprare abiti griffati e guidare auto di lusso.

EROI SOLITARI
Don Maurizio Patriciello, il sacerdote che è in trincea come un soldato, ha urlato che questo posto non doveva nascere. Il Parco Verde è un teatro dell’orrore dove ogni volta si ripete lo stesso copione. Nel 2014 la piccola Fortuna Liffredo, a dispetto del suo nome pieno di belle promesse, subì una sorte tremenda. Aveva sei anni. Fu buttata giù dall’ottavo piano. Si pensò solo per un attimo a un incidente perché sul suo corpo martoriato dalla caduta c’erano anche segni di stupro. Quella volta la piccola si era ribellata al mostro che aveva il volto conosciuto del vicino di casa. E così lui si sbarazzò di Fortuna ammazzandola. Prima di lei un altro piccolino, Antonio Giglio, quattro anni, era morto cadendo da un balcone. La storia di Fortuna scoperchiò il regno del Male, attirò giornalisti e televisioni da tutt’Italia, arrivarono politici a fare promesse e a chiedere voti. Poi si spensero i riflettori e la vita è andata avanti così, con i bambini che crescono in fretta e gli adulti che non diventano mai grandi, persi nei loro malaffari o nella paura di denunciare.

Adesso che si è alzato nuovamente il sipario sull’orrore del Parco Verde, adesso che le famiglie delle cuginette di undici e dodici anni hanno denunciato le violenze ripetutamente subìte da un branco di coetanei capeggiati da un maggiorenne - figlio di un boss - si accendono di nuovo i riflettori. Si indaga, arrivano le forze dell’ordine, le telecamere i taccuini dei giornalisti, poi tutto torna come prima. Se non peggio. È così da sempre. Dietro lo stupro di Caivano c’è il degrado culturale, certamente. C’è una radicata idea patriarcale della donna considerata oggetto sessuale in balìa del maschio-alfa che è propria della mentalità mafiosa, ci sono tutti i fattori che psicologi e sociologi hanno giustamente evidenziato: l’incapacità dei giovani di provare emozioni, il narcisismo che si diffonde attraverso i social, le famiglie assenti, la mancanza totale di regole, la delegittimazione della scuola come istituzione. Ma, prima di tutto e sopra tutto questo, al Parco Verde, manca lo Stato. Servono presidi fissi di polizia e carabinieri, serve una presenza che ristabilisca l’ordine. Tutto è nelle mani di persone che non è sbagliato definire eroi, tra questi c’è don Patriciello che ancora nell’omelia di ieri, davanti a una decina di fedeli, ha urlato: «Quando accadono queste storie nessuno può lavarsi le mani e dire: io non c’entro».

I COLPEVOLI
La colpa è di quei ragazzini che hanno abusato delle piccoline, ma anche di chi ogni giorno vede gli spacciatori sotto casa e non li denuncia. Di chi permette che l’infanzia venga calpestata, di chi vede bambini appartarsi in posti isolati e non interviene e di chi ha voluto lasciare isolato, senza mezzi pubblici, senza farmacie e altri servizi utili, il Parco. La colpa è di tutti quelli che spengono le luci del futuro su questa terra che i romani chiamavano «felix», i traffici di rifiuti della camorra hanno reso «terra dei fuochi» e l’assenza dello Stato ha trasformato in terra del Male.