Ambientalismo, se ora c'è anche l'eco-ansia dei giovani da curare
Non sono ancora stati assorbiti i traumi per la pandemia con distanziamento sociale, mascherine, scuola a distanza che i ragazzi devono affrontare una nuova emergenza. Parliamo dell’ansia innescata dalle preoccupazioni per le sorti del pianeta. Una vera e propria sindrome che viene studiata e curata anche a livello clinico. La protesta ecologica, tanto sostenuta e finanziata a livello globale, ha partorito una nuova forma di scontento con un relativo mercato. In inglese è stata ribattezzata eco-anxiety e parte dal presupposto che «le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare». Quando questi stati di ansia diventano molto forti è necessario un supporto per la salute mentale con medici e farmaci. Per gli esperti c’è il rischio di una nuova ospedalizzazione globale. Secondo il centro di “Medicina sui disturbi di ansia e panico” dell’ospedale Humanitas di Milano alcuni fattori sembrano predisporre maggiormente ai sintomi dell’eco-ansia: giovane età, esposizione mediatica, impegno attivo nei confronti della crisi ambientale. Tra i sintomi comuni: nervosismo e inquietudine legati all’impatto dei propri comportamenti sull’ambiente circostante, crisi d’ansia quando si affrontano tematiche sull’ambiente, decisioni radicali sulla propria vita (ad esempio non avere figli perché potrebbe non essere etico o sostenibile per le risorse del pianeta), solastalgia. Quest’ultima patologia è uno stato caratterizzato da emozioni di nostalgia, senso di perdita, disturbi del sonno, stress, dolore, depressione, aggressività, istinti suicidi.
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CHE SPAVENTO! - Secondo un’indagine pubblicata dalla rivista The Lancet. Planetary Health e riferita a diecimila giovani europei, ben tre quarti degli intervistati di età compresa tra i sedici e i venticinque anni considerano il futuro «spaventoso». La metà di dichiara ansiosa, scontenta, triste, arrabbiata e si sente in colpa per la crisi climatica. L’elenco delle patologie denunciate è vario: attacchi di panico, traumi, depressioni, abuso di sostanze, aggressività, ridotte capacità di autonomia e di controllo, sentimenti di impotenza, fatalismo e paura. Ad aggravare la situazione l’impressione perversa indotta dai media che gli eco-ansiosi, siano dei malati virtuosi e i loro disturbi sono considerati lodevoli perché denotano sensibilità ai temi dell’ambiente. Si innesca, così, un perverso cortocircuito perché questi giovani scaricano sugli adulti un enorme “senso di colpa” per come hanno ridotto il pianeta. Una colpa generazionale. Spiega Marcello Veneziani nel suo ultimo saggio Scontenti (Marsilio Editore): «L’umanità viene nuovamente divisa in buoni e cattivi, e dopo i no-vax, i no-war ecco i no-eco: da una parte le vittime, indicate come eco-ansiose, dall’altra i negazionisti o “ecomostri” che rifiutano i sensi di colpa. La follia di questa drammaturgia ambientale è che non produce alcun effetto concreto sull’ambiente: una volta dichiarata mezza umanità malata di eco-ansia e l’altra metà colpevole dei danni ambientali non ne consegue alcun cambiamento nel clima e nell’ambiente». Per ogni emergenza che si rispetti c’è, poi, una ricaduta economica. Sull’eco-ansia sta fiorendo un fruttuoso business perché una nuova patologia di massa crea un nuovo mercato. I malati ecologici devono essere supportati dal punto di vista, medico, farmacologico e psicoterapico. Per non parlare della costosissima e poco ecologica riconversione verde dell’industria, dei trasporti e dell’energia. Un business enorme, alla faccia di Greta e dei gretini.
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