I Terzisti
Federico Moccia, il segreto: "Come è nato Tre metri sopra il cielo"
«Essere un figlio d'arte non mi è mai dispiaciuto anche se spesso può accadere che, almeno inizialmente, in molti non ti prendano eccessivamente sul serio». Federico Moccia, scrittore, autore e sceneggiatore è figlio d'arte: Giuseppe Moccia, conosciuto con lo pseudonimo di Pipolo era suo padre che, assieme a Franco Castellano, formò per trent'anni, a partire dagli anni sessanta, una delle più celebri coppie di registi e sceneggiatori italiani.
Federico quando hai capito cosa faceva tuo padre?
«All'inizio della tua vita, quando sei piccolo, non riesci a comprendere esattamente ciò che fa tuo padre. Per me mio padre faceva film e solo dopo, crescendo, ho compreso che Catellano e Pipolo avevano scritto e sceneggiato più di centoventi pellicole».
E all'inizio quando eri piccolo che rapporto avevi con tuo papà?
«Lo aspettavo sulle scale che portano alla mansarda perché mi portava a fare giri e gite meravigliose: andavamo allo zoo, alle giostre e quei luoghi assumevano per me una dimensione gigantesca».
Da dove nasce il nome “Pipolo” di tuo papà Giuseppe Moccia?
«Nasce dalla difficoltà della sorella di mio padre, Rosetta ultima di quattro fratelli , nel pronunciare il suo vero nome “Giuseppe”. Così lo modificava in “Pipolo” e questo rimase nel tempo il suo pseudonimo».
Nella sostanza hai ricalcato, con successo, la carriera di tuo padre. Cosa ti piaceva di lui?
«Sin da piccolo ero coinvolto dal suo modo di raccontare il mondo e la quotidianità. Aveva questa straordinaria capacità, con la parola, di farmi capire perfettamente senza dare una direzione ma facendomi capire con un racconto il senso delle cose. Se ci penso la sua eredità morale e ciò che realmente mi è rimasto dentro, perché trasmesso da lui, è stato proprio il tema del racconto e della narrazione».
Hai mai letto ciò che scriveva Pipolo, tuo padre?
«Non solo ho letto ma c'è una cosa che papà faceva costantemente ed era quella di girare dei film della nostra vita quotidiana con dei super8. Girava, montava ed aggiungeva la musica creando dei bellissimi racconti familiare che ancora oggi riguardo».
E cosa ti trasferisce il rivedere quei film?
«Intanto li sto digitalizzando tutti perché sono una testimonianza familiare incredibile. Inoltre mi riportano a capire la fortuna di essere cresciuto in una famiglia dove mia madre e mio padre erano sempre straordinariamente innamorati; un grande privilegio al giorno d'oggi. Inoltre sono filmati che trasudano di leggerezza. Sai all'inizio della tua vita pensi che tutte le famiglie siano uguali alla tua. In realtà non è così, ma solo il tempo ti permette di comprenderlo».
Oltre all'amore, filo rosso della tua vita anche professionale, quale caratteristica della tua famiglia ricordi aver fatto parte della tua adolescenza?
«Sicuramente il saper affrontare con leggerezza i successi. Questo è sempre stato l'insegnamento di mio papà. Mi ricordo, per esempio, che c'è stato un periodo in cui tutto andava a gonfie vele e papà fece sette film in un anno».
Una enormità.
«A quel successo lui reagì dicendomi che dovevamo stare attenti perché la vita è fatta di alti e bassi: e così fu. A metà degli anni settanta ci fu un periodo di crisi della produzione cinematografica italiana ma, grazie all'insegnamento di mio papà, accogliemmo tutti con leggerezza sia il successo che la riduzione naturale del tenore di vita».
A proposito di insuccessi per il tuo primo libro “Tre metri sopra il cielo” inizialmente facesti fatica a trovare un editore. Mi racconti cosa accadde?
«Mi piace ricordare che il titolo lo scelsi assieme a mio padre il quale si divertiva a leggere la scaletta del libro e quando gli chiesi un consiglio su come titolarlo lui mi chiese quale fosse la scena più importante del film…».
E tu…
«Risposi che essendo il racconto dell'amore adolescenziale tra due ragazzi, Babi e Step, il momento più importante era quando fecero l'amore per la prima volta. Lì Step chiese a Babi se fosse felice e lei rispose “sto toccando il cielo con un dito”. Fu lì che papà mi disse di esagerare e venne fuori “tre metri sopra il cielo”».
E poi?
«Cercai un editore e mandai il romanzo a chiunque ma nessuno rispose. Molti non prendevano sul serio una semplice storia d'amore e così decisi di farla pubblicare, pagando io, dal Ventaglio editore».
Addirittura te lo sei finanziato?
«Usai i risparmi del lavoro e la casa editrice “il Ventaglio” lo editò . Decisi di finanziarmelo con i risparmi che avevo messo da parte con il lavoro in Rai e questo lo feci per rendere possibile questo mio sogno di libertà. Purtroppo “il Ventaglio” falli ed iniziarono a girare fotocopie nelle università del mio libro. Finché …».
Cosa accadde?
«Intanto mio padre disse “non è piaciuto” io gli risposi “non è il momento ma è il libro che io vorrei leggere”».
Hai avuto ragione.
«Direi di sì. Margherita la nipote di Riccardo Tozzi, imprenditore cinematografico e presidente della società Cattleya, lesse il libro e disse a Riccardo che avrebbe assolutamente dovuto fare un film tratto da questa storia. Così fu ed a quel punto mi chiamarono tutti gli editori per rieditare “Tre metri sopra il cielo” che divenne un successo mondiale vendendo, persino in Giappone e Brasile , milioni di copie».
Sei un cattolico pensi che la Provvidenza sia stata benevola con te?
«Non ho scomodato Dio per questo. Penso più semplicemente che se uno fa qualcosa di buono prima o poi questo si manifesta con fragore. Ho raccontato una storia che mi piaceva e mi apparteneva e questo è stato il segreto. Scrivere è un atto di libertà assoluta».
Tra le tue esperienze hai fatto anche il sindaco di un paese in Abruzzo.
«È stata una esperienza molto bella. Rosello è un piccolo comune in provincia di Chieti e vinsi con l'ottantanove percento dei consensi».
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Che la burocrazia non permette ai sindaci e ai politici di fare davvero ciò che serve per la comunità. Mi avevano chiamato per cercare di dare comunicazione delle bellezze di quel territorio ma alla fine, pur rinunciando al compenso da sindaco, le risorse non erano sufficienti a fare qualcosa di significativo».
E di questa campagna elettorale cosa ne pensi?
«Uguale alle altre ma spero solo che, chiunque vinca, sia rispettoso delle promesse fatte ai cittadini».
Questi ultimi anni tra Covid e Guerra ci hanno cambiato?
«La società è cambiata da molto prima. Certo il Covid a me personalmente ha cambiato la percezione su quelle cose, tipo la libertà, che sembravano scontate ed invece improvvisamente si sono trasformate in un miraggio».
In cosa è cambiata la società per esempio?
«Se pensiamo alla televisione, che è uno specchio del costume, siamo passati dal bianco e nero al colori ed aggi alla tecnologia più avanzata. Papà era contrario inizialmente al computer ed alla fine non solo l'ha accettato ma lo usava divertendosi. Però c'è da dire una cosa …».
Dimmi Federico...
«Se da una parte il costume è cambiato ci sono cose che rimangono sempre le stesse come il primo bacio, il primo amore e così via dicendo. E forse questo desiderio di ognuno di noi di rivedere se stesso all'interno di alcuni film o libri rimane il segreto del successo di alcuni miei scritti e film. Le persone hanno bisogno di identificarsi e di rivedere pezzi della propria vita in progetti che hanno un linguaggio collettivo».
Cosa ti piacerebbe fare nel futuro?
«Un film utilizzando il nostro migliore amico, il telefonino, che per racconti la vita di tutti i gironi. Vorrei raccontare la realtà rappresentata con il cellulare».