Italiani anti-crisi: "Il Paradiso in Cina facendo pupazzi"
Il pupazzo che - ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah - ride e si rotola, e poi rotola e - ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah - ride, chissà quante volte l’avrete visto nelle soste in Autogrill. Amandolo, ma anche no. È lui il protagonista di questa storia, perché attraverso il suo boom (più di 5 milioni di esemplari venduti nel mondo) raccontiamo la favola di un ragazzo italiano. Uno di quelli che amano il proprio lavoro. Che hanno idee. Che inseguono il successo, ma non i soldi. Uno di quelli che hanno il coraggio di cambiare quando non si sentono realizzati, anche a costo di mollare tutto e andare dall’altra parte del pianeta. In Cina. Nome? «Matteo». Cognome? «Scelba». Parente dell’ex presidente del Consiglio Mario Scelba? «Sì». Anni? «Quarantuno». Matteo, raccontiamo la sua storia. Studi? «Scienze Politiche alla Cattolica di Milano. Poi Sociologia in Inghilterra per due anni. Ho sempre amato viaggiare e scoprire». Primo lavoro serio? «In Italia, nel 1998, per la Rinascente. Creatore di prodotti, realizzatore di idee. Proponiamo e vendiamo collezioni tessili e oggetti per la casa, seguendo le mode abbigliamento, abbinando i colori. È un successo, ma dopo due anni me ne vado». Incompatibilità professionali? «Guai sentimentali. Contravvengo alla regola numero uno: mai storie in ufficio. In quel periodo ne ho tre...». Lavoro successivo? «Autogrill. Entro come assistente per il reparto elettronica, giro di affari da 300 mila euro. In un anno passo a 5 milioni». Urca. E come? «L’idea è quella di potenziare gli accessori per cellulari, creando un servizio speciale in 350 punti vendita. L’ambiente è meraviglioso, c’è voglia di migliorare». Scusi, il suo stipendio? «Sono impiegato, 1.300 euro al mese. Ma con la possibilità di viaggiare per Fiere in tutto il mondo, per vedere cosa si propone all’estero, soprattutto in Asia. Prendere gli spunti migliori e adattarli a noi». Diceva delle idee che hanno fatto passare il giro di affari da 300 mila euro a 5 milioni. Accessori per telefoni, poi? «A Londra, da Harrods, vedo una presentazione che mi affascina. In aria ci sono tanti palloncini e, sotto ognuno di loro, un maialino che grugnisce. Lo chiamo Piggy. Mi emoziono e capisco che può funzionare. Così convinco l’azienda a investire 25.000 dollari in maiali che non fossero da mangiare. Organizzo delle speciali presentazioni in Autogrill, li esponiamo e vanno a ruba. Arriviamo a venderne anche 100 pezzi al giorno in un singolo autogrill. Altri cinque milioni l’anno buttati lì. E gestendo bene il settore si scatena una catena di vendite». In che senso? «Faccio un accordo con la Duracell per le pile e questa diventa una delle promozioni più importanti: nel nostro canale crescono del 40 per cento». Complimenti. Siamo nei primi Anni 2000 e lei, trentenne, si avvia a una carriera di idee e soddisfazioni. «Già, ma mollo tutto». Ancora? E perché? «Il dirigente più illuminato che capiva l’importanza di sperimentare se ne va. E viene sostituito con colleghi attaccati alla poltrona, che di fronte a presentazioni vendite innovative mi dicono: “No, non facciamo eventi ludici”. Lotto per un po’, poi capisco che è impossibile lavorare così, che mi sto annoiando. Che non ho più motivazioni. E nel 2006 mi licenzio». E che fa, da disoccupato, a 36 anni? «Mi riposo per un periodo. Poi inizio ad aiutare, dall’Italia, degli amici cinesi che vogliono aprire una fabbrica di giocattoli; ma l’Italia mi annoia, torno sociologo, voglio studiare la società nascente che si sta creando in Cina, così parto». Addio Italia da un giorno all’altro. Mica facile... «Vado a vivere a Shenzhen, nella Cina continentale meridionale. E come prima cosa decido di imparare la lingua». Scuole per italiani? «Nooo, il contrario. Nel quartiere senza occidentali, tra la gente, tra gli operai». Ora conosce bene il cinese? «Non so leggerlo e scriverlo, ma lo capisco. Senza saperlo è impossibile vivere in Cina, non riesci nemmeno a mangiare al ristorante». Mangia spesso fuori? «Sempre, come tutti. Il costo della vita può essere basso, un buon piatto di ravioli costa l’equivalente di 50 centesimi. Però sono anche un ottimo cuoco, sperimento in cucina con buoni risultati». Torniamo al suo lavoro. «In poco tempo creo giocattoli, faccio un brand mio. Quello che in Italia è difficile portare avanti, là è più semplice. La Cina è fertile per chi ha idee». E presto trova l’idea vincente. «In azienda mi imbatto in un vecchio peluche che rotola - una sorta di gatto morto rigido - e che trasmette una musichetta natalizia. Lo modifico con l’aiuto di un ingegnere, lo faccio ridere e decido di proporlo a una Fiera come unico prodotto. Risultato, per quattro giorni consecutivi c’è la fila per poterlo vedere. E nel giro di poco tempo vendiamo 5 milioni di pezzi in tutto il mondo». Sono i “Roffle Mates”, quelli che abbiamo conosciuto proprio in Autogrill. «Ma ora da voi sono stati ritirati, erano venduti a prezzi troppo bassi e rovinavano il mercato». Matteo, raccontiamo un po’ la vita in Cina. È fidanzato? «Con Linda. L’ho conosciuta là, è di Hong Kong. E l’inizio non è stato facile». Perché? «Sono molto tradizionalisti e le coppie miste sono viste con diffidenza». Cosa le piace della Cina? «È un Paese veloce, pensi a una cosa e sai che puoi realizzarla subito. Ma bisogna abituarsi ai costumi locali, anche a bere tanto, perché una bella serata può comportare parecchio alcol. Bevono una specie di grappa e se ti rifiuti di stare ai loro ritmi si offendono. A una cena di lavoro sono stato malissimo». Un difetto della vita in Cina? «Il traffico. Ma stanno lavorando per risolverlo. Comunque, non sta a me trovare difetti, sono solo un ospite». A proposito, lei si sente cinese o italiano? «Sono italiano, ma mi comporto come un cinese. Una specie di Marco Polo. E sono felice». Nostalgia di Milano? «Nostalgia degli amici, ma l’Italia non mi manca. Quando cambierò, sceglierò un altro posto del mondo per vivere». Matteo, ha già pensato al prossimo gioco da inventare? «Sì, ma è presto per raccontarlo. Anche perché adesso voglio riposarmi un po’, staccare». Se lo può permettere? Ha guadagnato molto? «Il giusto. Vede, questa è una domanda da tipica mentalità italiana: produrre, guadagnare, fare carriera. Io non vivo così, a me dei soldi frega nulla. La ricchezza è sentirsi realizzato e felice, ricevere complimenti da chi lavora con te. E solo lontano dall’Italia è possibile farlo». di Alessandro Dell'Orto