Paragone: la lobby dei gay lasci riposare Lucio in pace
Ma quanto siamo bravi a montare le polemiche sull’aria fritta. Quella sui funerali di Lucio Dalla per esempio, sui gay, la Chiesa e l’ipocrisia. È vero, Marco Alemanno è stato definito in tanti modi: collaboratore, amico fraterno e altro. Mai compagno di vita nonostante lo fosse. A voler alzare l’asticella chi li ha visti insieme potrebbe affermare che fosse il suo angelo custode, il suo complice, il suo tanto per non dire il suo quasi tutto. E se così fosse persino compagno diventa riduttivo. Comunque sia, resta il fatto che quell’espressione - compagno di vita - è rimasta un sottinteso. Lucio e Marco erano una coppia, non v’è dubbio. Ora, però, resta una domanda: cosa c’entra la Chiesa? Dove starebbe l’ipocrisia della Chiesa? Cos’avrebbero dovuto fare, dedicare un’omelia all’omosessualità così da scrollarsi di dosso le accuse di antimodernità o, peggio, le storie sui preti gay? Suvvia, siamo adulti... La Chiesa prescinde dal tempo, quindi prescinde persino sul concetto di modernità inteso come lo intendiamo noi. Il dibattito montato sul funerale di Lucio Dalla è di una sciocchezza esemplare, non fosse altro perché si chiede alla Chiesa di fare ciò che lo Stato non è ancora riuscito a fare: riconoscere le relazioni omosessuali. Marco Alemanno, per esempio, dopo tanti anni di relazione con il cantautore bolognese resterà fuori da una serie di diritti di tipo testamentario perché la morte del compagno è stata improvvisa. È discriminazione? Forse, ma lo stesso capita anche alle coppie eterosessuali non coperte da una unione riconosciuta. Si tratta di scelte politiche che né questo né altri parlamenti sono riusciti a discutere compiutamente senza impigliarsi nelle sabbie mobili del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, dell’opportuno e dell’inopportuno. Non v’è dubbio che sul tema delle unioni ci sia un vuoto normativo, ma appunto tocca alla politica colmarlo. Sempre che ne abbia la forza e la maturità. Di contro, però, non sono così sicuro che vi sia un deficit culturale: l’omosessualità non è più un tabù. E questo nonostante l’omofobia, l’intolleranza, l’antipatia che restano frutti avvelenati ma minoritari. L’omosessualità né provoca, né imbarazza, né comporta esclusione: basta parlare con le giovani generazioni per farsene una ragione. Anzi, sono convinto che sarà proprio un leader politico giovane a smuovere gli attuali, precari assetti normativi. È solo questione di tempo perché ogni processo sociale necessita di un tempo lungo per consolidarsi. Quel giorno non tarderà e manderà in soffitta i tanti dibattiti (tra l’altro tutti assai prevedibili…) sull’omosessualità e sull’ipocrisia di questo e di quello. L’omosessualità di Lucio Dalla non è mai stata una questione di dibattito quando egli era in vita: Dalla ha vissuto la propria storia liberamente, scollandola dalla politica e senza prestarsi al giochino dell’outing o coming out che dir si voglia. Si vergognava? Certo che no; tant’è che l’ha cantata in cento canzoni. Lo voglio dire al buon Franco Grillini quando lamenta il fatto che la Chiesa non permetterebbe - a suo dire - di cantare i testi di Dalla dove si fa riferimento ad amori omosessuali (tipo “…e si farà l’amore ognuno come gli va”): non c’è oratorio e campo estivo dove alla presenza dei sacerdoti non si canti L’anno che verrà o altre canzoni. Lucio Dalla ha vissuto le sue storie liberamente, dicevamo, senza farsi mille menate. Al Festival di Sanremo per esempio non s’è accodato alle reazioni scomposte di alcune comunità gay indignate per la scenetta (tra l’altro per nulla inedita) dei Soliti Idioti. Forse ci avrà persino fatto una risata perché quando non si hanno debiti né con la coscienza né con la morale si riesce a dare il giusto peso alle parole. È proprio quella leggerezza che ci manca per non rimanere impigliati in inutili dibattiti sull’ipocrisia di Tizio o di Caio. di Gianluigi Paragone