Intelligenza e talento
Il nostro Luca Beatrice non c'è più: affamato di vita, poliedrico e ironico, Libero era casa sua
"Luca Beatrice sta male. Sai qualcosa?", chiede al telefono il direttore Mario Sechi. "Luca? Impossibile, direttore. Proviamo a chiamarlo, lui risponde sempre". Passano pochi minuti. "Non risponde", scrive Sechi su Whatsapp. Chi conosce Luca sa che è bastato questo suo silenzio per metterci in allarme perché risponde mentre guida, mentre sale e scende dai treni, mentre gioca con il piccolo Giovanni, visita una mostra o è in giro per vernissage. Se è in un’aula dell’università manda un messaggio: "Sono a lezione. Ti richiamo dopo. Scrivimi se ti serve un pezzo". Sparisce solo quando la Juve scende in campo, ma si congeda dal mondo con un messaggio. "Stasera c’è la partita". E tutti a Libero sappiamo che non dobbiamo chiamarlo. Però ieri la sua Juventus non giocava. Abbiamo aspettato, abbiamo sperato che il suo nome apparisse sul display del cellulare o che arrivasse uno dei suoi sms diretti, essenziali, contemporanei come l’arte che ama. Ma Luca non ha più risposto.
E adesso tocca scrivere quello che avrei dovuto dire nelle prime righe perché la notizia bisogna darla subito anche se vorresti che arrivasse una smentita e che questo pezzo non uscisse mai sul giornale. Il nostro Luca Beatrice non c’è più. È morto dopo un infarto. Voi lettori avete imparato a conoscere la sua penna raffinata, la capacita straordinaria di cambiare registro stilistico ogni giorno e destreggiarsi su per le vette della filosofia e poi scivolare giù lungo i crinali della cultura pop. Luca è così, fa slalom giganti nella vita di tutti i giorni e nei suoi tanti lavori di critico d’arte, insegnante, presidente della Quadriennale, giornalista, commentatore sportivo e saggista. Velocità, preparazione, tecnica. Intelligenza e talento, una ferrea disciplina e un’organizzazione sabauda nascosta ben bene dietro un’apparente sregolatezza. E adesso bisogna usare i verbi al passato, perché la grammatica sa essere spietata come la vita.
Addio a Luca Beatrice, il cordoglio e la data dei funerali
Scriveva di cultura, di costume, di politica, di sport, di spettacoli, sempre con la stessa competenza, la stessa capacità di tenerti incollato all’articolo dalla prima all’ultima parola. Poliedrico, arguto, la voce fuori dal coro, lo sguardo capace di cogliere prima di tutto la bellezza e poi di scovare l’anomalia, l’incongruenza, la sbavatura che rovina l’insieme. Amante della provocazione, pieno di cose da fare e da dire. Inarrestabile, insaziabile, inesauribile e ironico (la sua ultima foto su Instagram lo ritrae in un cartonato ad altezza d’uomo e, sotto, la scritta: “Omone sovrappeso”). Rideva di sé e degli altri, fregandosene di danzare in punta di piedi sulle parole, chiamava le cose col loro nome, diretto e mai volgare. Luca era un ottimo critico d’arte e un eccellente giornalista, rispettava i tempi di consegna e di spazio e centrava sempre il punto come un tiratore scelto. Mi diceva che a Libero si sentiva a casa e a noi lui piaceva assai. "Chi fa questo pezzo?", chiedeva il direttore in riunione. "Beatrice", rispondevamo spesso all’unisono. Era una carta sicura, la firma che noi responsabili dei vari settori ci giocavamo sapendo che il direttore avrebbe annuito sornione. "Sì, Luca è perfetto".
Era da poco diventato presidente della Quadriennale, e aveva già dato la sua impronta originale. "Si chiamerà Fantastica. È un termine italiano, femminile, è un aggettivo ma è anche un verbo, sicuramente iperbolico, perché è un invito a riscoprire la potenza del simbolico e la forza dell’immaginazione, che è soprattutto dentro di noi", aveva detto presentando il suo progetto alla stampa. Un mese fa ha inaugurato la mostra di Luca Carboni, aveva mille progetti da avviare come faceva lui, a mille all’ora, affamato di vita e di nuovi inizi.
La mattina lo chiamavi che era a Torino e alla sera era già a Roma. Ma c’erano i suoi figli grandi da seguire a distanza e sempre c’era il piccolo Giovanni da portare a una festa o al mare, in Versilia. E poi la moglie Elisa che – mi diceva - mi ha reso papà felice in età da nonno. Gli unici pezzi che non scriveva volentieri erano i coccodrilli perché alla morte preferiva raccontare i colori dei quadri, tuffarsi nelle pagine palpitanti dei suoi libri, polemizzare contro il politicamente corretto, criticare un programma tv e la stecca di un cantante, eppure non si è mai tirato indietro neanche quando, qualche giorno fa, gli abbiamo chiesto di ricordare il suo amico Oliviero Toscani. Ci sentivamo ogni giorno per commentare le notizie, per programmare nuovi articoli, perché il Napoli vinceva la partita (ma era meglio non parlare delle sconfitte della sua Juve), mi mandava Whatsapp come promemoria, per fermare il tempo e lo scorrere dei suoi pensieri, perché gli era venuta un’idea e non voleva farsela scappare.
Adesso dovrei scriverti un addio ma non sono capace, Luca. Non sono brava quanto te. Non ho neanche scritto che hai - avevi - 63 anni. Non ho detto del tuo curriculum, delle migliaia di cose che hai fatto da quando ti sei laureato a Torino in Storia del cinema e poi ti sei specializzato in Storia dell’arte a Siena. Non ho scritto dell’insegnamento all'Accademia Albertina, allo Ied di Torino, allo Iulm di Milano e prima ancora a Palermo e a Brera.
Una vita che ne conteneva altre mille. Noi di Libero stringiamo in un abbraccio Elisa e i tuoi ragazzi. Per te nessun addio, amico mio. Aspetterò la spunta blu all’ultimo messaggio che ti ho spedito.