Trappoloni

Cecilia Sala, colpo basso di Fazio alla Meloni: "Ma Elon Musk?"

Enrico Paoli

Ad Elon Musk, almeno indirettamente, rende onore. «Nessuno della mia famiglia, né il mio compagno Daniele Raineri ha mai parlato con il magnate americano, Ma Daniele ha contattato il referente in Italia, Andrea Stroppa, e l’unica risposta che ha avuto su Musk è stata: 'informato'», racconta Cecilia Sala, la giornalista liberata lo scorso 8 gennaio dopo 21 giorni di detenzione in Iran, ospite ieri sera di Che Tempo Che Fa, il programma di Fabio Fazio in onda sul Nove. Certo, dietro quell’«informato» ci sta tutto, e il suo esatto contrario, però Musk viene tirato in ballo.

Cosa che Cecilia Sala non fa né con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, né con l’esecutivo attualmente in carica, non citandoli mai nel corso della lunga intervista televisiva, la prima da quando è tornata in Italia, con Fabio Fazio. D’accordo, il conduttore televisivo si è guardato bene dal fargli una domanda sul ruolo svolto da Palazzo Chigi, confermando la nota faziosità di Fazio, ma anche la giornalista di Chora Media non ha sentito la necessità di citare la Meloni, o altri esponenti del governo.

 

 

 

L’unica concessione è una sorta di mozione degli affetti: «L’isolamento è una condizione in cui si trovano ancora tantissime iraniane, che non hanno la fortuna che ho io di avere un Paese alle spalle che ti protegge», dice la Sala. «La telefonata che ha fatto capire alla mia famiglia come stessi è stata quella in cui ho detto a Daniele di avere paura per la mia testa, di aver paura di perdere il controllo dei nervi», sottolinea la giornalista. Dunque il Paese, non altro. Non la politica o la diplomazia, compresa quella sotterranea del ministero degli Esteri.

 

 

 

Al di là di Musk e dalla Meloni il racconto della Sala fatto a Fazio, nel corso dell’intervista sul Nove, ha girato intorno alla drammatica detenzione in Iran e alle vicende americane, in particolare l’insediamento di Donald Trump. «Mi hanno prelevata nella mia camera d’albergo mentre stavo lavorando», racconta, «in macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo». Solo il giorno successivo le è stato concesso di fare le telefonate di rito all’ambasciata o ai familiari «per giustificare la mia sparizione». Le preoccupazioni più grandi, ricorda ancora, erano legate alla crisi mediorientale e all’imminente insediamento di Donald Trump. «Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano», chiaro il riferimento al caso Abedini, «la mia situazione poteva complicarmi moltissimo».

 

 

«Ho capito di essere un ostaggio», continua, «quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l’unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione». «Questa è stata l’operazione per liberare un ostaggio preso in Iran più rapida dagli anni Ottanta. Seguo l’Iran da giornalista e quindi conoscevo gli altri casi», chiosa la Sala.
La quale ha vissuto 21 giorni da incubo: interrogatori infiniti «incappucciata con la faccia rivolta al muro», mentre in isolamento «temevo per i miei nervi», passando il tempo a «leggere le istruzioni delle buste o a contare le dita delle mani».