nel 2020
Matteo Salvini, così la sinistra in Senato lo mandò alla sbarra sul caso Open Arms
Prima di arrivare davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Palermo, Matteo Salvini ha dovuto affrontare il “processo” della sua Camera di appartenenza. Il Senato. Seda Palazzo Madama non fosse arrivata la luce verde per i pm - che avevano chiesto l’autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dell’ex ministro dell’Interno nell’aula bunker della casa circondariale “Pagliarelli” non si sarebbe celebrato alcun dibattimento (da cui pure Salvini è stato assolto). È nell’emiciclo della Camera alta, il 30 luglio 2020, che tutto comincia. Con Pd, M5S, Italia viva, LeU e Autonomie che votano per spedire il leader della Lega sul banco degli imputati. Quel giorno all’ordine del giorno dell’assemblea di Palazzo Madama c’è la discussione sulla «relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari sulla domanda di autorizzazione a procedere in giudizio, ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione, nei confronti del senatore Matteo Salvini nella sua qualità di ministro dell’Interno». I senatori devono decidere se accogliere o meno il parere che sulla richiesta delle toghe palermitane aveva espresso - il 26 maggio - la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, allora presieduta da Maurizio Gasparri (Fi). Giunta che si era mossa in senso contrario alla procura di Palermo.
Quel giorno, infatti, a maggioranza era stata approvata la proposta di non autorizzare il processo. Voti a favore di Salvini: 13 (i 5 senatori della Lega, i 4 di Fi, Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, Meinhard Durnwalder delle Autonomie, l’ex pentastellato Mario Giarrusso, e il senatore del M5S Alessandra Ricciardi). Voti per spedire Matteo a processo: 7 (il componente del Pd, quello di LeU, quattro grillini e Gregorio De Falco, ex M5S). Fuori dall’aula i tre rappresentanti di Italia viva: Bonifazi, Cucca e Ginetti. In aula, però, cambia tutto. I tre senatori di Iv votano a favore del processo, il gruppo delle Autonomie si divide e durante le dichiarazioni di voto i rappresentanti di Pd e M5S incendiano l’aula con interventi politici lontani dalla raccomandazione di Gasparri di circoscrivere l’esame del caso al «perseguimento del preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo» da parte di Salvini.
Ecco Matteo Renzi, che pure riconosce a Gasparri di aver presentato una relazione «seria, precisa e puntuale», prendere di petto il leader della Lega: «Tu non blocchi l’immigrazione tenendo un barcone al largo, tu aumenti i follower su Facebook. È la versione populista dell’immigrazione». Ecco, soprattutto, Anna Rossomando del Pd, che contesta a Salvini di esibire un cattolicesimo di facciata davanti alla disperazione dei migranti: «Lei brandisce spesso il rosario e la Madonna come un brand pubblicitario e lo fa sempre in pubblico, sebbene la preghiera sia spesso qualcosa di privato». L’aula rumoreggia, Rossomando insiste: «Ci siamo mai domandati quale sommessa preghiera vi fosse per quell’uomo che aveva il proiettile nel piede, per quelle donne che sono state violentate, per chi fuggiva dalle torture (...). Quale ipocrisia (...) Avete di fronte non gli scafisti, ma quelle persone!».
Il Pd ha deciso: il senatore deve andare a processo. A tutti i costi. Emblematico l’intervento del vicecapogruppo Franco Mirabelli: «Secondo noi non è dimostrato l'interesse pubblico, ma, anche se lo fosse, voglio dire con grande chiarezza che non pensiamo che esso possa giustificare le violazioni dei diritti umani e delle libertà individuali e le sofferenze di quelle persone». Ancora: «Pensiamo non ci sia possibilità di giustificare quello che è successo», che «non c’entra niente con il controllo dei confini», quanto «forse con la propaganda». Salvini, scandisce Mirabelli, «dovrebbe rimettersi al giudizio di un tribunale». Il cerchio si chiude con la dichiarazione di voto di Elvira Lucia Evangelista, del M5S. Non c’è traccia di un’analisi in punta di diritto, quando la senatrice pentastellata denuncia che «mentre sulla nave si consumava questo dramma, il senatore Salvini cavalcava le scene sui palchi, convinto di essere già in campagna elettorale per le Politiche, affermando, in maniera rozza e disumana, che era finita la pacchia per chi voleva sbarcare in Italia». Altro che le valutazioni se l’azione di governo «sia stata tale» e se avesse «come obiettivo un interesse pubblico».
Nelle parole della grillina Evangelista affiora tutto il pregiudizio, e il malanimo, sull’ex alleato Salvini, colpevole di aver affossato il primo governo Conte proprio nell’estate del 2019. «Erano i giorni della richiesta di pieni poteri, con i calici in alto, sotto il sole cocente della riviera romagnola...». L’asse Pd-M5S non lascia scampo al leader del Carroccio: per essere approvata, la relazione della Giunta deve ottenere la maggioranza assoluta di 161 voti. Sulla carta quei voti, gruppi parlamentari dell’epoca alla mano, li hanno da soli dem e grillini. A favore della proposta di non autorizzare il processo votano in 141, contro in 149. E si aprono le porte dell’aula bunker.