Eccessi gender
Martina Navratilova si infuria: adesso le donne diventano "non trans"
Ci vuole forse la persona giusta, di questi tempi, per permettersi il lusso di poter dire la cosa sbagliata? È un dubbio, questo, che sollecita Martina Navratilova, la tennista ceco-statunitense dei record assoluti: massimo dei titoli vinti e orientamento omosessuale rivelato, fra le prime, negli anni Settanta. Ebbene, quel che accade oggi è che Martina Navratilova tuoni, e cioè twitti, contro il New York Times. Scrivendo, letteralmente, che il giornale progressista “puzza”. Che è tutto sbagliato. E che il miasma, par di capire, sia per via di decomposizione.
Ma andiamo con ordine. Il fatto è che il NYT apre su un’attuale querelle che si gioca nei campi della pallavolo. Per la precisione, una controversia che serpeggia nella pallavolo universitaria femminile dopo che diverse squadre hanno rinunciato a giocare contro la San Jose State University e la sua giocatrice transessuale Blaire Fleming per i motivi che possiamo immaginare (scontro impari dal punto di vista fisico). Una questione fritta, rifritta e che comunque già stufa. La quale – fateci caso – ha già stufato gli statunitensi, non spostando un voto a sinistra ma anzi, spostando le masse verso Trump.
Una controversia già in via di decomposizione e per cui in Europa, dopo il caso olimpionico della pugilatrice algerina Imane Khelif, ci sembrava di avere sentito tutto e capito niente (fatta salva la malafede che orientava il dibattito su cromosomi e testosterone). Ma ecco che in America, ancora una volta, a innervosire la saffica Navratilova è proprio la malafede. E cioè il fatto che il NYT abbia usato, nel discettare di sport e di sessi ambigui, l’espressione “donne non transgender” (in riferimento alle donne nate donne). Le quali donne, la Navratilova non accetta di vedere comparate all’androgino. Vuoi perché donna-nata-donna vuoi perché donna, la tennista, che ama molto le donne.
Navratilova insorge, quindi, e lo stupore collettivo s’avvita non tanto intorno al contenuto quanto al pulpito. E cioè al fatto che a dire “i sessi sono due” non sia stato un Trump o un Vannacci qualunque. Ma una tennista in tempi di tenniscore. Una lesbica in lotta per i diritti civili. Insomma: una persona buona che può permettersi il lusso di dire anche la cosa cattiva. Perché “se lo dice anche lei, allora...”. All’incirca come a cadenza variabile accade con la scrittrice J.K. Rowling che fu un tempo pro Labour e ora è femminista anti trans. O come succede a cadenza giornaliera con Elon Musk che twitta al vetriolo pro Trump e fu un tempo elettore di Barack Obama.
Navratilova insorge e lo stupore non è tanto, o non è più, per l’androgino in campo da tennis, per l’ermafrodito in spirito olimpico, per i cromosomi e il testosterone che dopo l’epica dei virologi (in epoca Covid) rese quest’estate un po’ tutti genetisti. Quanto per il fatto che i giusti, oggi, grazie anche ai soldi – carburante di libertà – si permettono il lusso di twittare quello che molti tengono dentro. Si permettono di dire quello i giornalisti (troppo in crisi per un qualsivoglia lusso, siano pure giornalisti del NYT) non sanno più scrivere. Si permettono di esprimere quello che in molti tacciono eccetto che nel silenzio dell’urna elettorale. Dove, turatosi il naso dalla puzza del NYT, sentono non di essere ma di fare la cosa giusta.