Dai succhiasangue capitalisti di Marx al terrore in celluloide, nel folklore e nella lotta di classe: un excursus totalizzante negli anfratti del mito
Quando Dracula si dà alla politica
Un quarto di secolo fa alla facoltà di Sociologia dell’Università di Trento –indirizzo letterario "Sociologia della letteratura" sotto il presidio di Ada Neiger- si svolse uno dei più articolati convegni sui vampiri mai dischiusi dalle tenebre. Me lo ricordo perché c’ero, con la mia relazioncina sulla sessualità nient’affatto repressa delle vampiresse, a cominciare dalla Carmilla Karnstein di Sheridan La Fanu, per finire alla Vampirella camp dell’editoria Usa anni 70.
In quel consesso, il mito di Dracula e dei suoi fratelli veniva dissezionato in tutti i campi dello scibile: letterario, cinematografico, cronistico, storico, fumettistico, sociologico, religioso. Risultato: studenti euforici, studiosi in tripudio, mass media in deliquio. Il vampirismo come policroma metafora dell’umanità tirava assai. Ci si perdoni la premessa.
Ma ora è quasi con quello stesso spirito eclettico che l’americano J. Gordon Melton, storico delle religioni e intellettuale transilvano d’adozione, ha griffato Il grande libro dei vampiri- Dalla storia al mito, dalla letteratura al cinema tutto sui non morti (Mondadori Electa pp 720, euro 35 tradotto da Maura Parolini e Matteo Curtoni), ovvero una Summa Teologica del settore. Trattasi, secondo sinossi, di «un testo unico nel suo genere, in grado di rispondere a tutte le domande sul tema. Melton infatti riporta fedelmente la storia del vampirismo, i casi di cronaca antica e moderna presi da ogni angolo del mondo, inclusa l’Italia, e prosegue poi con un viaggio nella letteratura, nel cinema, nella tv e nei media per arrivare fino ai vampiri nella cultura pop». Esamina così centinaia di personaggi reali e immaginari, autori, film e prodotti letterari: da Bram Stoker a Bela Lugosi, da Buffy l’ammazzavampiri a Vlad l’Impalatore e Lestat de Lioncourt, dai ragazzotti di Twilight al Barnabas Collins interpretato deliziosamente da Johnny Deep in Dark Shadow. Il librone ha dentro di tutto: dal folklore vampirico al marketing, dall’omosessualità al pop alle prospettive accademiche. Nel mare magno di sangue, canini e docili orrori, la parte che colpisce di più è quella del “vampiro in politica”, o meglio dell’uso politico del non-morto.
POPOLO E COMUNISMO
Si legge in fatti a pagina 100 di un uso che nasce dalla prime citazioni prima sul The Gentleman’s Magazine del maggio 1732; e poi nel 1741 nel saggio in Some Queries and Observations upon the Revolution dove si legge: «I nostri mercanti in effetti, portano denaro nel paese, ama a quanto pare c’è tra noi un altro gruppo di uomini talmente abili nel rimandarlo in Paesi stranieri senza alcun profitto da sconfiggere l’industria dei mercanti. Questi sono vampiri del bene pubblico e predoni del regno».
Dopodiché, viene evocato addirittura Voltaire che, nel suo nel suo Dizionario filosofico> scrive sui vampiri in modo sarcastico, identificandoli con gli «aggiottatori, medici, affaristi che in pieno giorno succhiavano il sangue al popolo». E il popolo è protagonista pure nel paragrafo a pagina 101 Vampiri e comunismo laddove emerge la figura del succhiasangue proprio nella retorica politica di Karl Marx che a su volta richiama il collega Freidrich Engels con la sua frase «la classe abbiente che vampirizza i lavoratori», contenuta nella Situazione della classe operaia in Inghilterra. Per Marx, la stessa industria britannica nell’era industriale era un vampiro borghese. La spiegazione del vampiro politico è filosofica: il capitale succhia la vita al “lavoro vivo” (la classe operaia, appunto) e lo trasforma in lavoro morto (prodotti grezzi e macchinari). Il lavoro vivo è destinato a rimanere al servizio dei “prodotti morti” del lavoro passato, come fosse Renfield, il servo umano di Dracula.
E il Conte, tra l’altro, nel capitolo successivo del ponderoso saggio di Melton, è presente in forma di vittima, secondo lo storico Stephen D. Arata Dracula è anche vittima di xenofobia, agnello sacrificale di una sottile forma di razzismo vittoriano contro i selvaggi migranti dell’est, ospiti di una Londra che con fatica si lascia integrare dai flussi migratori di “razze impure”. Infine, nel XX e XXI secolo il vampiro diventa indagine «standard utilizzata a livello internazionale da vignettisti e commentatori per descrivere i nemici politici»: negli anni 80, per dire il “vampiro” totale era George HW Bush. Oggi, l’idea del “Maestro della notte” (come li chiamano nei fumetti ineludibilmente letterari di Dampyr della Sergio Bonelli Editore, mito di carta giunto al ventesimo anno di pubblicazione) inteso nel ruolo di attizzatore di un “nuovo ordine mondiale” diventa una figura mistificata che spazia da Putin a Xi Jinping, attraverso le riunioni dei paesi ex Brics del cosiddetto Global South, il sud del mondo sospeso tra Oriente e Occidente alla ricerca di un leader. Sono le suddette, in pratica, le teorie che in Italia aveva sviluppato con tenacia il politologo Giorgio Galli, tra l’altro organizzatore del Convegno trentino di cui sopra. Tutto torna, insomma.
AD USO DI MASSA
Compreso questo mito a uso di massa che dai racconti biblici apocrifi (Lilith, la prima donna prima di Eva, ripudiata, fu la prima vampira) arriva al romance cosiddetto “Young Adult” delle varie commedie anemiche di Netflix. Personalmente, a parte i Dracula di Christopher Lee e Gary Oldman, mi diverto ancora assai a rivedere il vampiro fru fru di George Hamilton nel film Amore al primo morso (1979); quello italianissimo –a anch’esso politico- Cavalier Costante Nicosia demoniaco ovvero Dracula in Brianza intrepretato da Lando Buzzanca; e il Dracula-Edmond Dantes – recitato da Jonathan Rhys Meyers, che fingeva di essere e un imprenditore visionario alla Adriano Olivetti nella sperduta serie americana del 2014. Ma ognuno sceglie il vampiro che si merita…