Come no
Kamala Harris, l'illusione notturna di Tommaso Labate: "Come nel ciclismo, chi sta dietro sfrutta la scia"
La notte, per l’intellighenzia di sinistra, è stata un incubo. Il risveglio una terribile realtà. Col buio, pesto per Rula Jebreal, l’israeliana filo-palestinese se ne esce così: «Non so che droghe prenda Elon Musk, forse le prende anche alle 6 del pomeriggio...». Musk, capo di “X”, Tesla, uno degli uomini più ricchi del mondo oltre che primo sponsor di Trump, ha appena twittato: «Game, set, match», ossia, «gioco, partita e incontro», a conferma che ormai Donald ha vinto. Rula, collegata con “È sempre Cartabianca”, su Rete 4, sbotta dalla rabbia. Se la prende anche col New York Times che dà il 75% di possibilità di successo ai repubblicani: «Non è vero, nel 2016 e nel 2020 si sono sbagliati, Trump non ha ancora vinto». È sempre Cartabianca ed è sempre Rula Jebreal.
Al mattino, dopo aver passato ore di passione tra uno studio e l’altro, Alan Friedman all’“Aria che Tira” (La7) deraglia brutalmente: «Musk è il Goebbels digitale di Trump». Goebbels, il ministro della Propaganda di Hitler. Il conduttore, David Parenzo, prova a riportarlo sul binario (Friedman, non Goebbels). Niente, Alan va dritto: «Ogni giorno Musk porta la propaganda del Cremlino su Twitter». Parenzo: «Se dici che Musk è Goebbels vuoi dire che Trump è Hitler...». Risposta: «Sì, questo sembra implicito. Guarda, io non voglio esagerare» - no, macché, «noi scopriremo se siamo nel 1933...».
Friedman, il profeta della Grande Mela, non s’è mai ripreso dalla contestatissima (da lui) eliminazione da “Ballando con le stelle”, elegante come Fred Astaire, solo più agile. Qualche ora prima del paragone col Terzo Reich, tra le altre cose, ha dato almeno un paio di volte degli illetterati ai trumpiani, i quali però gli hanno insegnato – ma l’hanno insegnato soprattutto alle stelle di Hollywood, ai politici e ai giornali progressisti – che insultare l’elettorato avversario non è una trovata geniale.
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Ci è andato vicino anche Aldo Cazzullo, prestigiosa firma che sul Corriere della Sera alla vigilia del voto ha scritto che il vecchio e nuovo presidente gli ricorda «Hannibal Lecter». Poi, collegato con la “Maratona Mentana” tra i sostenitori repubblicani a Palm Beach, li definisce «fauna». La flora era dentro, sui tavoli del resort pronti per la festa. Attenzione, momento memorabile: durante la diretta notturna la regia de La7 mostra per errore lo schermo del telefono di Mentana e la chat privata con Cazzullo: «Giornalisticamente sei contento», scrive l’inviato del Corriere, «confessa, con la Casellati nera ci saremmo annoiati». Chiaro il riferimento alla Harris. Mentana un’ora dopo gli risponde serafico: «Aldo, ma se facciamo un collegamento telefonico?». Cazzullo, non in chat ma durante la diretta, osserva inoltre che Trump non è il nuovo che avanza perché rappresenta «un’America bianca, maschia e cristiana». Poi una certa ironia sullo sparo ricevuto durante il comizio a luglio.
Andiamo avanti, ma riavvolgiamo il nastro di qualche minuto. Stanno arrivando dati molto incoraggianti per Trump, la Georgia va verso i repubblicani (uno degli Stati considerati decisivi alla vigilia), Kamala non sfonda nemmeno nelle zone storicamente favorevoli ai democratici. E però Tommaso Labate sentenzia: «L’arrivo in volata alle elezioni spesso segue le stesse regole del ciclismo. Chi sta dietro sfrutta una scia, che lo ripaga in termini di mobilitazione dell’ultimo colpo di reni. Trump», continua Labate, «nel 2016 fregò così la Clinton. Harris nel 2024 può fregare così Trump. Vedremo». Lo abbiamo visto: Labate è montato sulla bici alla bersagliera, come Fantozzi in preparazione alla famigerata “Coppa Cobram”.
Ormai è l’ora di pranzo, e la scena televisiva se la prende Piero Fassino: «Ci sono ancora alcuni Stati che devono completare lo spoglio... E i sovranisti di casa nostra che esultano per Trump non si esaltino troppo...». Il profumo dello smacco è intenso.