Le radici letterarie in un saggio

Quando Lovecraft si ispirava a Ovidio

Francesco Specchia

Che cosa ha a che fare Howard Philips Lovecraft, un gigante della letteratura fantastica americana (dopo E.A.Poe) con le Metamorfosi di Ovidio, gli afflati di Apuleio e gli eroismi degli Spartani alle Termopili?

Che c’azzeccano gli orrori tentacolari di ancestrali déi primigeni venuti dallo spazio con i mostri (anzi col “monstrum” nel senso latino della stupefazione) che affollano le pagine dell’Eneide e dell’Odissea? Che influenza hanno avuto il greco e il latino in un bimbo di «sei anni che, imbattendosi in quegli eroi, divenne un pagano classico, sincero ed entusiasta fino a otto anni un estatico devoto degli dei antichi»?. Qual è il legame, ossessivo quanto ancestrale, che innerva tutta l’opera di Lovecraft nel tessuto della letteratura e della mitopoietica classiche? Di questo e altri interrogativi si occupa Miska Ruggeri in HPL e il mondo classico, saggio contenuto nel libro collettaneo Yog-Sothothery – Oltre la soglia dell’immaginario (Castelvecchi) firmato con interventi preziosi da vari scrittori, antropologi e docenti universitari: Angelo Clementi, Virginia Como, Pietro - curatore della rivista Studi Lovecraftiani-, Paolo Mariani, Adriano Monti Buzzetti Colella, saggista, giornalista e responsabile della Redazione Cultura del TG2; Salvatore Santangelo. Ruggeri, giornalista del Tg2 e già colonna di queste pagine, da antichista qual è scava nel passato dello scrittore statunitense con impeto esegetico. 

E riesce a tracciare un ritratto di HPL inedito.

 Lo Yog-Sothoth del titolo è –per capirci- il “Guardiano della Soglia” del lovecraftiano ciclo letterario di Cthulhu; «È una sentinella vigile sulla frontiera che divide questo mondo, il mondo della realtà “concreta”, dall’altro, quello delle illusioni, dei sogni e dei fantasmi», che s’incunea nella cultura pop non prima di essersi abbeverato alle fonti del classicismo. Ruggeri rievoca così un HPL bambino quasi recluso nella sua casa di Providence. Un bimbo che resta impressionato «dal viadotto ferroviario di Canton, tra Providence e Boston, le cui arcate di mattoni lo fanno assomigliare a un acquedotto romano. A quattro anni, del resto, sa già leggere e conosce la metrica (aveva spesso recitato le filastrocche di Mamma Oca a casa della celebre poetessa Louise Imogen Guiney, amica della madre)». Ruggeri qui vi individua la ricerca classica ovunque: «Nella campagna del New England vede tratti dell’antica Grecia e della Sicilia pastorale, tenta di spiare di nascosto le Naiadi nella fontana del giardino, aguzza la vista per scorgere i fauni al crepuscolo, adorna gli alberi di corone di fiori per omaggiare le Driadi e il gran dio Pan».

 Sicché, nel cuore dell’America rurale e puritana alla fine dell’Ottocento ecco spuntare «un neopagano doc. Capace di simpatizzare per le misure repressive anticristiane di Nerone, Marco Aurelio e Diocleziano anche davanti agli insegnanti della scuola domenicale della Prima Chiesa Battista». Un eretico «francamente dispiaciuto che la superstizione siriana non fosse stata sradicata». Il Lovecraft immerso nel paganesimo tardo ellenico era stata, finora un’ipotesi degli specialisti. Ruggeri ha il merito di farne emergere tanti indizi da costituire una prova del suo feroce antimodernismo. «Verso gli 11 anni, questo ragazzino che spesso aveva costruito intere città romane e scenari storici su lunghi tavoli, si cimenta in una traduzione letterale riga per riga in pentametri dei primi 88 versi delle Metamorfosi di Ovidio (ma forse il suo lavoro si estese all’intero I libro)». Inoltre scrive una sorta di parodia del viaggio degli Argonauti (The Argonauts) e due volumi intitolati Poemata Minora (ce ne resta solo il secondo) e dedicati «agli Dei, agli Eroi e agli Ideali degli antichi». Dopodiché, ecco il florilegio delle sue poesie giovanili con Odi a Diana, a Pan, a Selene. Al liceo il giovane Howard prende sempre il voto più alto in latini e il più basso in algebra; si sente un antico romano col sempiterno «disprezzo per la barbarie del mondo moderno». A volte ricorda Winston Churchill, a volte Massimo Fini.

I suoi sogni stessi sono intessuti di classicità. Il racconto  Prato Verde (1918-1919) è imperniato su uno strano taccuino di 30 fogli rinvenuto all’interno di un meteorite caduto in mare vicino alla costa del Maine; la scrittura è greco corsivo del II secolo a.C., «della più pura qualità classica. Il testo, privo di conclusione perché le pagine erano scolorite prima di essere lette da uno studioso, «parla di un uomo orrendamente solo, circondato da mare, cielo, bosco e un Prato Verde. In mente ha le febbricitanti ricerche raccontate negli scritti di Democrito». L’idea – lo spiegherà lo stesso HPL in una lettera –«è che si tratti della narrazione di un antico filosofo greco fuggito dalla Terra e atterrato su un altro pianeta”. Addirittura.

Quando HPL scrive L’orrore soprannaturale nella letteratura, il suo saggio più famoso del 1927, si scopre prendere ovviamente le mosse dal racconto dell’orrore in Petronio (l’episodio del lupo mannaro), in Apuleio, nella lettera di Plinio il Giovane al console Licinio Sura e nell’opera Il libro delle meraviglie di Flegonte di Tralles, «dove si trova il racconto della sposacadavere più tardi riportato anche dal filosofo neoplatonico Proclo nel suo commento alla Repubblica di Platone». 

Altri richiami classici si riscontrano nell’epistolario accorato tra lo stesso Howard Lovecraft e Robert Howard, giovane collega texano autore di Conan il Barbaro (la cui storia è stata recentemente romanzata nella serie a fumetti Dampyr di Sergio Bonelli editore), e qui il loro accenno rivela elementi di una cosmogonia comune. Un’opera esegetica ma col sapore del racconto.