l'intervista

Fulvio Abbate: "Giuli è un intellettuale, si dimetta per salvarsi"

Daniele Dell'Orco

Fulvio Abbate, scrittore di sinistra, ma non di quella politica, è fine intellettuale eppure capace di esprimere concetti senza usare mezzi termini. Quando Libero gli chiede cosa pensa dell’ennesima querelle riguardo il Ministro della Cultura Alessandro Giuli risponde: «È assolutamente tragicomico».

In che senso?
«Premesso che non ho difficoltà a definirmi amico di Giuli. L’ho conosciuto nei giorni in cui avevo una rubrica sul Foglio. Venne tagliata perché non ero gradito ad un conterraneo potente. Giuli, che pensavo che mi ritenesse solo un “comunista” fu il primo a rispettare la mia intelligenza. Io sono tra quelli che gli chiesero di mostrare discontinuità rispetto alle accuse che gli vengono mosse...».

Quali delle tante?
«Di essere un, diciamo così, fascista evoliano. Essendo lui in possesso di strumenti intellettuali e di spessore umano, trovo sia pervenuto ad una concezione politica liberal-socialista».

Cos’è che reputa tragicomico allora?
«Quando si è messo al lavoro Giuli ha esordito utilizzando un timbro lessicale che l’ha reso immediatamente un oggetto comico buono per le imitazioni di Crozza. Sa cosa gli consigliai?»

Dica...
«Di rispondere allo scherno proponendo allo stesso Crozza un bel duetto. Tanto per ricorrere all’arma dell’autoironia, perché tanto in questo Paese esprimere concetti elevati è deleterio».

Cosa le rispose?
«Che ci avrebbe pensato. Ma nel frattempo sono saltate fuori altre questioni, come le dimissioni di Spano. Ora, in attesa di vedere queste fantomatiche rivelazioni del servizio di Report, la matassa intorno a lui mi sembra inestricabile. Si fa chiacchiericcio sulle sue frasi, sul suo orientamento sessuale, sui conflitti di interesse. Per un Ministro della Cultura nel Paese di Michelangelo, Galileo, Leonardo e Dante è un problema di credibilità. Lui è un profilo adeguato per ricoprire quel ruolo. Ma paradossalmente lo fanno diventare inadeguato».

E cosa dovrebbe fare allora?
«Dimettersi».

Ma così finiamo nella tirannia del gossip...
«Vede, io al contrario di altri non credo che il governo Meloni durerà a lungo. E comunque la carica di ministro non è per sempre. Giuli è un intellettuale. E deve salvarsi finché è in tempo, per consegnarsi pienamente alla sua natura di intellettuale. Le dirò di più...».

Ho quasi paura...
«Lo spessore culturale del governo, ma della politica in generale anche a sinistra, è così basso che Giuli nella lettera di dimissioni dovrebbe scrivere: “Non mi meritate”».

Ma allora avrebbe fatto meglio a non accettare proprio...
«C’è da considerare un dato umano: Giuli è una persona certamente con ambizione ma pure con un tratto di timidezza quasi “femminile”. Ha pensato che quest’offerta fosse un riconoscimento alla sua intelligenza. Lui però non ha registrato il lessico che avrebbe dovuto utilizzare. Perché vede, al di là di Francesco Spano, che dice di aver assunto per competenza e che comunque si è dimesso, la maggior parte del discredito che gli è giunto viene dal suo modo di porgere il discorso. Usare termini come “infosfera”, “pensiero solare”, “presupposto teoretico”, per un intellettuale è normale. Ma lui non ha capito di parlare a delle nutrie».

No la prego, adesso pure gli insulti...
«Le racconto un aneddoto».

Tremo.
«Io ho partecipato al Grande Fratello vip. Una volta in puntata usai un termine, “epistemologo”. Quando l’ho rivista ho notato la camera che si soffermava su alcuni volti che avevano negli occhi il tratto del terrore. Ecco che succede a Giuli quando parla di “infosfera” in un Paese in cui il tenore lessicale è sottozero e la complessità non interessa».

Non può essere lui a correggere un po’ il tiro?
«Non credo possa riuscirci. L’unico modo per salvarsi è permettergli di fare come Caligola e mandare a parlare in Aula il suo cane. Ha un Jack Russell se non sbaglio. Lo capirebbero meglio».

Qualcuno accusa Alessandro Giuli di voler piacere troppo alla sinistra.
«Ha scritto un libro su Gramsci, già questo la dice lunga. Ma torno a dire, come spessore non è che la sinistra stia meglio. Semplicemente ha ritenuto che si dovesse dialogare».

Non è granché in linea col suo predecessore che voleva combattere l'egemonia culturale rossa.
«Quella c’è da quando la Dc abbandonò la cultura, il cinema e le arti agli altri. Ma mi dice qual è l’alternativa? Una sera incontrai uno dei presunti detrattori di Giuli dentro Fdi, lo dovetti correggere su Louis-Ferdinand Céline. Io a lui. Ed è uno degli autori che la destra considera un feticcio».

Però una impalcatura alternativa si dovrà pur iniziare a creare...
«Non bastano dieci anni. E serve una visione».

Chi vedrebbe al posto di Giuli?
«Forse Flavia Perina».

Prima diceva che il governo di Giorgia Meloni non durerà. Ma la sinistra non esiste.
«Non c’è l’alternativa politica, è vero. Il campo largo non si formerà mai, Schlein è invisibile e parla al mondo amichettista. Tornerà un premier tecnico. Tipo quello che c’era prima...»

Draghi?
«Ecco sì, lui».