Proprio lui?

Nicola Lagioia, il campione dell'egemonia culturale della sinistra, denuncia: basta con il dominio di questa destra

Francesco Specchia

Egemonia, egemonia, per piccina che tu sia tu mi sembri una badia. Proprio sul delicato crinale tra la dipartita del vecchio ministro Genny Sangiuliano e l’avvento del nuovo Alessandro Giuli, Nicola Lagioia, premio Strega, potente intellettuale progressista, già direttore del Salone del libro ha un colpo di lombi.

In un’intervista sulla Stampa, lo scrittore avverte il neo ministro della Cultura che «il tentativo di egemonia culturale della destra è fallito e non poteva essere altrimenti. Chi governa deve porsi il problema di collaborare con le forze esistenti in campo, non di contrastarle. Soprattutto se si tratta di intellettuali, operatori della cultura e cittadini». Lagioia denuncia che la destra al potere culturale abbia perso la guerra prima ancora d’iniziarla. Invoca «segnali nuovi» oltre gli «equivoci» «sul fascismo, sulla sostituzione etnica, sulla denuncia degli intellettuali e dei cittadini additati come nemici politici. Non si può querelare Luciano Canfora, anche se esagera» (in realtà, Canfora è un gigante, ma proprio per questo lo si può querelare se, da quell’altezza, dà del «nazista» alla Meloni cioè a un corpo dello Stato, ma transeat). E aggiunge - non so quanto sinceramente - che «da un certo punto di vista la rigidità è comprensibile perché questa destra soffre una diffidenza per non aver contribuito storicamente a scrivere la Costituzione». La quale teoria, per quanto confusa, è sicuramente un contributo inedito per gli storiografi.

Lagioia denuncia. Eppure. Eppure, sottilmente, egli quasi si propone come suggeritore, al neo ministro, di una morbida palingenesi. Gli dice: caro Giuli, studia «le politiche culturali di Germania e Francia»; riparti da zero; ricordati degli intellettuali “eversori” di sinistra «di Christian Raimo e di Tomaso Montanari». Che non sono esattamente Sartre e non esattamente un esempio per la destra. Che poi è cosa strana, quella di citare i due suddetti artisti dell polarizzazione, gli Ho Chi Minh dell’accademia: io Lagioia lo vedevo più come tipo da Gianni Cuperlo.

E, infine chiosa, Lagioia, sudi sé, che «non mi sento un intellettuale progressista, non amo le etichette e quando mi definiscono così lo trovo limitante». E qui mi chiedo se al Nazareno siano al corrente della sua nuova incarnazione. Però, in un’altra intervista a Repubblica, sempre Lagioia, nel maggio 2023, affermava «gli scrittori di destra di oggi sono come i comunisti organici degli anni 50». Onestamente, il nostro non esprime concetti del tutto sbagliati. Specie quando evoca i complessi d’inferiorità, la sindrome d’accerchiamento, la diffidenza che buona parte della destra culturale nutre ancora perfino nei confronti delle sue stesse, pochissime personalità “ingovernabili”, Giordano Bruno Guerri su tutti.

Epperò, il vero errore di Lagioia sta nel ridurre la storia dell’egemonia culturale a un grande bluff, che sarebbe usato dalla destra al governo per consumare le sue vendette da ex reietta dei salotti buoni. Lagioia qui sbanda. Non s’avvede di consumare la sua critica dal punto di vista sbagliato, che è quello solito dell’attico. Quello, cioè, de La terrazza il film di Ettore Scola, ossia dal luogo metafisico del «noi contro gli altri»: un’oasi di pensieri forti e compiaciuti, in cui un drappello di signori di mezz’età, da una loggia pariolina di intellettuali del Pci, s’illudeva di decidere i destini degli intellettuali del mondo.
L’egemonia culturale, a sinistra è sempre esistita e non ha fatto prigionieri.

Lagioia ne è esempio palese. Gramsci in purezza. E, per una voluta del Fato, oggi è proprio quel modello di colonizzazione culturale che la destra sta adottando in forma rovesciata. «Gramsci aveva capito che, oltre alla forza materiale, una classe per diventare dominante doveva impadronirsi di un bene più immateriale, cioè della capacità far apparire indiscutibili le proprie idee e i propri valori agli occhi della maggioranza», dice Walter Siti, intellettuale su cui si può dir tutto tranne che sia di destra. Il che non significa contrapporre, nei soliti giochi di potere due diverse koiné culturali.

La definizione migliore del progetto che doveva porsi la destra al potere l’ha plasticamente descritta Giampaolo Rossi, direttore generale della Rai, intellettuale connotato con in testa un progetto alla Pericle: «Ciò che dovrebbe animare un futuro governo di destra non può essere la logica del “non faremo prigionieri” (che qualcuno in passato ha coltivato), ma quella del “liberiamo chi è prigioniero”. Questo in campo culturale non si traduce nel sostituire l’egemonia della sinistra con un’altra egemonia uguale e contrapposta, ma nell’abbattere ogni pretesa egemonica e fare respirare la cultura di questa nazione. Se il nuovo governo conservatore saprà fare questo, potrà sviluppare il valore della nostra industria culturale, darà un contributo fondamentale a un nuovo rinascimento italiano». Ecco, caro compagno Lagioia: egemonia vera non è togliere il vecchio, ma aggiungere al nuovo. Che, poi, allo stato dei fatti, questo si stia realizzando, be’, è un altro paio di maniche...