Ritratti

Maria Rosaria Boccia, l'archetipo della donna che sussurra al potere

Ginevra Leganza

Fenomeni in cerca di fenomenologia. Ed eccoci. Dall’ormai paradigmatica Maria Rosaria Boccia all’instagrammatica Francesca Pascale, è la fenomenologia della mattocchia. E cioè della donna va da sé sempre esistita il cui social account è un campo minato e un’arma contundente il telefonino (laddove lo screenshot di oggi è il vestitino messo in freezer ieri. Ricordate? L’abito da stagista accuratamente sporcato di sperma ieri, quello da mettere in freezer, precisamente quello di Monica Lewinsky prontamente consigliata da mammà). Ed è insomma una tipa, la matocchia, che in virtù di quel che i greci antichi chiamavano Peitho (dea della persuasione), gli inglesi moderni chiamano pussy (power), e gli italiani per farla breve hanno sempre chiamato “pelo”, sa come mettere a ferro e fuoco lui e la di lui lei. Sia essa moglie, carriera o parvenza di serietà...

Ed ecco dunque la già mitologica Boccia: una palingenesi della dea greca allorché sibila al ministro di munirsi d’una pellicola privacy (a proposito, i possessori del suindicato rivestimento – date retta, amiche – evitateli senza deroghe giacché il lupo della mala coscienza come opera pensa). Ecco la donna nel solco d’una fitta schiera di fatalone. Ché se il maschio tossico è ipso facto ur-fascista, la femmina, di suo, è maliarda sfascista. In una lunga linea che dalla Maga Circe porta alla consigliera del Mic.

 

 

 

In questi giorni – col ministro ritiratosi nel santuario francescano di Greccio e gli ultimi videini sul viale del tramonto – numerose sono state infatti le sfasciste dissotterrate. Qualcuno rievocava Patrizia D’Addario, la escort barese che quindici anni dopo dice: “Pulisco i cessi”. La D’Addario che sussurrò al potere e che adesso racconta il suo calvario fra i vespasiani pugliesi quale epitome di un potere sfascista che sfascia tutto sfasciando anzitutto sé stesso. E sempre in questi giorni c’è chi ricorda ancora la Lady Golpe Donatella Di Rosa, accusatrice del presunto colpo di stato ordito dal marito, tenente colonnello Michittu, poi volto osé su Playmen e infine oggetto d’una pena ritortasi contro di due anni ai domiciliari.

In questi giorni insomma la schiera si fa fitta. E però il mito, a proposito di fenomenologia, conta su radici più profonde della seconda Repubblica se persino la maga Circe aveva riccioli belli come quelli, passati col ferro, della dottoressa Boccia, e se la pellicola privacy a ben vedere è giusto la fattura postmoderna d’una nuova Morgana. Perché il punto, in sintesi, è questo. Ed è che la seduzione sfascista è uno stato dell’anima. Un archetipo come lo scorpione che trafigge il ranocchio. Perciò la tigna di Boccia ci risulta incomprensibile, perciò Boccia sfida i limiti del ridicolo – che poi sono i limiti dell’umano – col suo leggiadro viso (e il riso menzognero).

 

 

 

Perché ella è un archetipo. E più che banale commedia all’italiana, è commedia umana e melodramma. Femmina fatale donde risuona addirittura il mito. E pazienza, adesso, se i riferimenti a Omero non convincono l’Italia classista. Pazienza per quelli che mammà iscrisse a forza alle scuole alte, benché somari, e che però dai quattro in greco non ci hanno cavato che risentimento su Twitter e zero fantasia. Pazienza e pazienza se in questa donna laureata alla Pegaso essi non colgono la femmina fatale sol perché non sta bene la telematica e l’irretito non ha l’aplomb dell’eroe (né tragico né epico, semmai ministro un po’ tragicomico). Maria Rosaria Boccia, femmina mattocchia cui fa eco la Pascale su Instagram (“dilettanti”, scriveva in rilievo su una foto di Berlusconi), è l’ultima delle Morgane e delle Salomè.

Poi certo, una cosa è la fata Morgana in natura, altra cosa è in letteratura. Una cosa è la seduttrice fatale dei poemi, altra è la seduttrice che capitalizza follower in forza di scandali col pericolo costante di finire a pulire i cessi (i follower oggi ci sono domani chissà). Ma dopotutto il salvacondotto del mondo reale non è che il rischio. E il rischio, qui, è appunto lo sfascismo. Ovvero lo sprofondare della donna-scorpione insieme a un ranocchio e sempre in ragione di un noto monito, ché chi di letto ferisce di letto perisce.

Una cosa è la femme fatale nei poemi, un’altra in televisione. E chissà che ne sarà tra due mesi di Maria Rosaria, già amatissima dai nemici: se un ennesimo fiore di campo largo come la Salis oppure uno scorpione destinato al naufragio. Come che sia, a noi donne di fantasia piace pensarla così. Novella “Circe dai riccioli belli” (e piastrati) e inedita dark lady. Erede delle fate in stile opera buffa, che tempi viviamo, e scusate se è poco.