La polemica
Patrick Zaki, retromarcia sul post antisemita
Soprattutto, a che titolo parla Patrick Zaki? In quanto ex detenuto (nel suo Paese) o come esperto negli studi di genere, con tanto di master all’Università di Bologna? O perché investito dal ruolo di attivista, termine di incerta matrice con cui si definisce chi si sente in dovere di intervenire su tutto, offrendo al mondo il proprio illuminato e non richiesto parere. Sempre attivo il giovane Zaki, non tace mai, ha sempre qualcosa da dire, ed essendo un incontinente orale spesso è inciampato in gaffe e manifestazioni di ingratitudine per chi gli ha salvato il deretano. Prova provata che nessun governo è infallibile...
Ieri l’egiziano che tanto piace a sinistra ne ha sparata una delle sue ed essendo ormai parecchie le esternazioni questa ultima finisce, purtroppo, in alto nella classifica delle idiozie. Commentando su X un video diffuso dai siti filopalestinesi, Zaki ha scritto in italiano, «che Dio maledica la loro specie demoniaca», riferendosi agli ebrei e a Israele. Un’affermazione gravissima che in un contesto civile sarebbe sufficiente per allontanare dal palco colui che l’ha pronunciata, ma su questo argomento l’ambiguità di fondo persiste travestita da antisemitismo strisciante. Solo che stavolta Zaki è indifendibile pure per la sinistra, oltre che per chiunque capisca e interpreti il valore delle parole. In primis gli esponenti di Fratelli d’Italia, che in una nota, si sono detti «basiti» di fronte alle parole del ricercatore. In una nota i senatori Ester Mieli, Marco Scurria, Raffaele Speranzon, Ella Bucalo, Lucio Malan e Giulio Terzi, hanno condannato le frasi che «alimentano il clima verbale di odio». E allora che ha fatto lo spudorato? Ha spiegato che non parla bene l’italiano e dunque sarà stato frainteso, in fondo non voleva offendere e a denti stretti ha chiesto scusa.
Credo non ci possa essere comportamento peggiore, più falso e ipocrita di chi non ha il coraggio di sostenere fino in fondo le proprie opinioni, seppur aberranti. Sentite l’attivista, dopo aver cancellato il tweet incriminato che gli ha procurato una ridda di insulti (mai abbastanza) e purtroppo qualche plauso perché di cretini e ignoranti è pieno il mondo: «L’italiano non è la mia lingua madre, tutto ciò che pubblico è rivisto dai miei collaboratori, ma a volte il significato voluto si perde nella traduzione. Ho usato parole che non intendevo usare, e tutti conoscono la mia posizione...». In un elaborato sintattico degno di un pensierino di quinta elementare, costruito apposta per prenderci per il naso, Zaki si sente una specie di lost in translation, ovviamente la colpa è degli altri perché se lui manda una maledizione alla stirpe demoniaca degli ebrei non voleva dire questo, intendeva ben altro e comunque promette di imparare meglio l’italiano per non incorrere più in errori del genere.
Arriva da lontano a prenderci tutti in giro, non è la prima volta, eppure Zaki piace con quell’aria da orsetto peloso, gli pubblicano libri, lo invitano ai festival, lo chiamano in tv nei programmi progressisti. Sarà così anche stavolta? Faranno ancora finta di niente? Minimizzeranno il suo razzismo e antisemitismo come uno sfogo? Peraltro, Zaki non nasconde la sua partigianeria, lui attivista unilaterale ha scelto di stare dalla parte di Hamas, dare voce al popolo palestinese ignorando che quando c’è una guerra sono in tanti a morire, seminare odio contro Israele. L’Italia, peraltro, continua a vivere la solita anomalia: certe cose si possono dire, altre no e Zaki appartiene alla tribù di chi può esprimersi impunemente, una tribuna festivaliera o televisiva la troverà sempre, un conduttore fazista che lo inviterà a fare ammenda e chiudere la questione con un’amichevole pacca sulla spalla. Non vedo nessuno all’orizzonte - o nel Pd a chiedere le dimissioni di Zaki. Da se stesso.
Se non fossero state parole così vergognose, potremmo tentare di sorridere sulla pletora di freaks che compongono il bestiario della sinistra attuale. Non sanno più dove andarli a prendere, certo non dalla scuola politica di un tempo, li cercano perseguitati e se li ritrovano opinionisti semideficienti, immaginiamo l’imbarazzo di qualcuno di loro (non tutti, non in segreteria) perché sulla guerra in Medio Oriente è indegno fare il tifo da stadio per una parte o per l’altra. Basterà questa ennesima figuraccia perché qualcuno si alzi e dica a Zaki di stare zitto, di smettere di scrivere scemenze e poi di rettificare, di preparare la valigia e prenotare una vacanza a Sharm El-Sheik. Ammesso che ce lo vogliano.