I conti con il passato
Lo storico Oliva: "La classe dirigente repubblicana? Fascisti in ruoli apicali, nessuno se lo ricorda"
Gridare al fascismo e al rischio del suo ritorno è diventato oggi uno sport nazionale, quasi più diffuso del calcio. In fondo non serve manco allenarsi, solo paventare fantasmi rinchiusi ormai da quasi un secolo nell’armadio della Storia. Ma la “fascio-fobia” è figlia soprattutto del processo mancato di un Popolo che non ha mai fatto i conti col suo passato.
In un libro di recente pubblicazione, che Libero vi aveva già presentato 45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio (Mondadori, Milano, feb. 2024), lo storico Gianni Oliva offre spunti importanti sul tema, a partire dalla ricostituzione della classe dirigente italiana.
“Vi è stata una continuità fra la classe dirigente liberale, fascista e repubblicana. Tra gli esempi più eclatanti Gaetano Azzariti, nel 1919 capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia, mantenuto nel ruolo da Mussolini e promosso, nel 1938, alla presidenza del Tribunale della Razza. Poi, con la caduta del Fascismo Badoglio lo vuole Ministro di Grazia e Giustizia nel suo esecutivo di 45 giorni. Terminata la guerra e nata la Repubblica, Azzariti è chiamato dal neo Ministro della Giustizia Togliatti quale suo consigliere per poi approdare, nel 1957, alla presidenza della Corte Costituzionale”.
E, singolare, nessuno gli avrebbe mai chiesto conto del suo passato. Neanche Palmiro Togliatti… “Azzariti aveva contribuito a costruire la legislazione fascista e, dal ‘38, la legislazione antisemita. Nel ‘43 il governo Badoglio gli chiede di iniziare a smantellare quello stesso apparato legislativo che aveva realizzato. Infine, nel dopoguerra raggiunge il vertice della Suprema corte”. Era d’altronde difficile che Gaetano Azzariti potesse essere condannato per il suo passato. Il ricambio della classe dirigente, secondo lo storico piemontese, sarebbe mancato anche “nella magistratura che, già implicata con il regime, avrebbe avuto difficoltà a condannare ex fascisti”.
La necessità di disporre di funzionari competenti permise dunque ad alcuni italiani di attraversare il “ponte” fra dittatura e democrazia sostanzialmente indenni.
Un altro nome degno di nota è Circo Verdiani, già responsabile dell’Ovra per il nord-est che, in epoca repubblicana, è posto a capo dell’ufficio del Ministero dell’Interno con il compito di occuparsi del banditismo di Salvatore Giuliano in Sicilia. In tasca, la rassicurante tessera del partito socialista. Altro nome eccellente è Marcello Guida, direttore dei carceri di Ponza e di Ventotene nel corso del ventennio, ove erano peraltro confinati gli antifascisti. La sua carriera in polizia continuerà sino al 1990, ricoprendo incarichi importanti anche in momenti delicati della storia italiana. Quando l’anarchico Pietro Pinelli muore negli uffici della questura di Milano, a indire una immediata conferenza stampa sul fatto è proprio Guida, allora questore. Quasi nessuno si ricorda di lui, eccetto il presidente della Camera Sandro Pertini, già suo detenuto a Ventotene, che gli rifiuta la mano alle esequie per le vittime della strage di Piazza Fontana.
“Perché in Italia non c’è stata una Norimberga?” si domanda Gianni Oliva, evidenziando ancora di più il silente (ed indolore) transito di ex fascisti nelle istituzioni repubblicane ed un generale disinteresse degli italiani verso un periodo storico fondamentale che le nuove generazioni conoscono solo a livello di polemica e che le vecchie, vittime e complici, non hanno saputo consolidare e tramandare.