Le missive inedite
Guareschi dal carcere alla moglie: "Portami due maglie di lana"
Se c’è un’immagine che evoca un’idea di giustizia ingenua e oggi impensabile, be’, è quella di Giovannino Guareschi infilato in una cella di 3 metri x 2,80 del carcere di Parma, tra cessi luridi, salute cagionevole e gli assalti feroci della stampa filogovernativa in sottofondo. Non sarà Mandela nelle prigioni sudafricane, ma è la grande lezione di un giornalista che costringe se stesso a camminare in equilibrio sul filo dell’onore.
Guareschi fu condannato per diffamazione a 409 giorni, 13 mesi di galera per aver pubblicato sul Candido di cui era direttore le lettere in cui il leader della Dc Alcide De Gasperi aveva chiesto agli alleati di bombardare la periferia di Roma per accelerare la fine della guerra.
Nonostante i periti gli avessero dato ragione (le missive erano autentiche) e nonostante gli avessero garantito l’assoluzione, Guareschi non presentò appello e commentò: «Accetto la condanna come un pugno in faccia: non mi interessa dimostrare che mi si astato dato ingiustamente». Questo limpido episodio guareschiano me lo raccontarono, per la prima volta, nel 1996 Carlotta e Alberto, i figli-custodi del mito pop di Giovannino, all’atto di accogliermi nella magione paterna di Roncole Verdi costruita attorno a una quercia («Papà diceva che c’era prima lei...»). Oggi, quell’episodio, unico caso di carcere per diffamazione a un cronista, è diventato Caro Nino ti scrivo. Giovannino Guareschi in carcere (Bur Contemporanea, pp 370 euro 13,50) saggio elaborato «attraverso numerose fonti, molte delle quali inedite» Trattasi della selezione tra 27mila “pezzi” tra lettere cartoline e biglietti, scovati in un sottotetto, molti dei quali inediti assemblati da Alberto Guareschi, 84 anni ultimo sopravvissuto della progenie. Ne esce la fotografia di un uomo che, con alato senso dell’istituzione, sentì il bisogno di insegnare la dignità dello Stato ai propri figli (anche con una galera ingiusta). Dentro c’è tutto il mondo di Guareschi.
Ma io segnalerei tre capitoli. Il primo contiene ampi stralci del carteggio inedito tra Giovannino e la moglie Ennia, a cui lo scrittore da dalla cella le incombenze quotidiane: «Cara Ennia. Ho ricevuto giovedì le cibarie speciali. Erano ottime! Il morale è sempre altissimo: la salute, al contrario, va piuttosto male. Ma la colpa non è del carcere: ciò dipende dal fatto che io, invece di nascere, ad esempio, nel 1918, sono nato nel 1908. Martedì portami due delle solite maglie di lana: non posso portare queste di cotone perché di notte ho freddo allo stomaco. Fammi un piacere: martedì compra un rasoio a mano libera con astuccio e un tubo di sapone per barba. Nella borsa di tela che è nel mio studio troverai un astuccio trasparente per il pennello (il pennello l’ho io qui in magazzino).Consegna il tutto al maresciallo comandante. Io desidero che il barbiere usi, per farmi la barba, rasoio e pennello simili. Compra un rasoio finissimo». In altre occasione il papà di don Camillo e Peppone chiede sigari toscani, fotografie, «i libri di Conan Doyle», dato che in cella non poteva scrivere i suoi.
LA MANCANZA Ennia risponde di averlo trovato col «morale abbastanza alto e mica male anche come cera.
I giorni passano - sebbene lenti - ma vanno. Da oggi devo attendere dodici giorni per poterti rivedere, e ti assicuro che sono lunghi. Cerco di fare tutto quello che posso e vedo che non mi ci metto male. Manca il perno e tutti ne sentono una grande mancanza ma ti attendiamo e continuamente parliamo di te, sei sempre presente specialmente alla sera... ». Ennia, con senso dell’umorismo acquisito per osmosi raccomanda il marito «di non uscire la sera...», C’è un momento in cui trapela la notizia - falsa- che la moglie presenti domanda di grazia per il marito. È un atto di denigrazione a cui Guareschi risponde inviando alla consorte, detta la “Vedova provvisoria” un «Prontuario della moglie del carcerato», perché non vuole che lei rimanga vittima di pressioni o inganni e che noi figli veniamo condizionati dalla sua vicenda. Si tratta di un prontuario «antidemocratico»: 1- Mio marito ha sempre ragione. Specialmente quando sbaglia perché in questo caso tutti gli darebbero torto e se non gli dessi ragione io si troverebbe solo contro tutti. 2 - Io ho sposato mio marito e non «la gente».
Ennia e Nino sono un’anima e un’ironia sola. I mesi del carcere scandiscono l’infanzia dei loro figli e l’affetto sincopato dei lettori. Altro capitolo interessante è quello che tratta l’ultimo periodo del lavoro in carcere sulla stesura di Don Camillo e l’onorevole Peppone. «Nel 1952 mio padre si era impegnato con Angelo Rizzoli a preparare le sceneggiature cinematografiche per un terzo episodio della serie Don Camillo e per Il marito in collegio e il 6 ottobre di quell’anno Angelo Rizzoli gli scrive facendogli notare che per il terzo Don Camillo «una sceneggiatura, o almeno una pre-sceneggiatura, sarebbe necessaria entro dicembre», ma la sceneggiatura non arriva perché dalla galera affioravano non poche difficoltà. Inoltre, di interesse sono i messaggi inviati a Guareschi da ex prigionieri di guerra – compagni di prigionia- da tutto il mondo. E, soprattutto per i colleghi giornalisti, da segnalare il capitolo Illustri corrispondenti dove emergono stralci di solidarietà inedita di grandi cronisti, da Montanelli a Biagi, da Longanesi a Marotta a Bianchi. È illuminante il ritratto di Dino Segre alias Pitigrilli del Giovannino in gabbia papabile per il Nobel: «Guareschi, e non per l’incidente con De Gasperi (assolutamente no) che non deve influire su un premio letterario, ma per il valore inconfondibile dell’opera sua...». Naturalmente Guareschi non ottenne il Nobel per la Letteratura. Figurarsi. Ma l’eterna gratitudine dei posteri si posò su di lui come la polvere dei secoli. E la quercia, con la casa cresciutale ai fianchi, è ancora lì, a Roncole: rappresenta la salda leggenda di Giovannino, attorno a cui ancora si snoda tutto il rispetto del mondo...