Il filosofo

Il genio di Florenskij racchiuso in un bloc-notes

Pietrangelo Buttafuoco

T i proteggerò dalle paure delle ipocondrie/dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. Così scrivevano e cantavano Franco Battiato e Manlio Sgalambro che nel comporre la Cura – il brano di travolgente preghiera a tutti noi noto – avevano ben compreso la riflessione n.112 segnata nei taccuini di padre Pavel Aleksandrovic Florenskji, il santo e il filosofo russo che nell’orizzonte a noi contemporaneo, per dirla con Cyrano de Bergerac, fu tutto e non fu niente.

Tutto fu lui che “andava per gigli” – in elevato spirito. E non fu niente in tema di grezza materia: “Io non sono nel mondo” annotava infatti tra le pagine dei cinque quaderni oggi custoditi nel Museo che porta il suo nome, il secondo dei quali pubblicato per la prima volta in Occidente col titolo Sulla soglia della fede da EDB (euro 19,50) a cura di Lucio Coco e che riguarda gli anni 1904-1905.

Ed ecco il n.112: “Non siamo soli, forze invisibili ci proteggono da tutte le disgrazie, dalle tenebre e dai fallimenti della notte”. Filosofo, matematico e presbitero russo, Florenskij emerge dall’insieme di annotazioni, spunti, riflessioni, elenchi di libri da scrivere, progetti da portare a termine in una sorta di un brogliaccio da strutturare che ha l’incompiutezza propria di questa forma di scrittura. Una sorta di bloc notes, questo libro preziosissimo, zeppo di lampi, folgorazioni, strati di parole che attendono ordine ma suscitano le emozioni proprio di un diario spirituale.

 

 

Un “cercatore di punti di discontinuità e indagatore di altri spazi” lo definisce Lucio Coco. E il grande russo Florenskij – oggi meritatamente riconosciuto tra i sommi della cultura universale – già nell’argomento della sua tesi di laurea, “Sulle caratteristiche delle curve piane come luoghi di violazione del principio di continuità”, osa il terribilmente importante.

Ecco l’irrompere dell’irrazionale – Cristo, il Cristo celeste – nel tempo del finito, quella finitezza solitamente indagata dallo scienziato alla luce di tranquille coordinate fisico-matematiche. E invece Cristo – nell’annuncio di una dimensione misteriosa – trascende il piano empirico e dona all’uomo un nutrimento ben diverso da quello, tutto materiale. Cristo porta Dio nel mondo.

Ecco nell’irrompere dell’irrazionale la reazione dell’Avversario: quel Mefistofele che nella soddisfazione dei bisogni della carne – sempre richiesta dagli uomini – dispone un “tantino” di equivalenza al Dio-uomo proponendosi nell’equivoco dell’Uomo-dio. E ci pensa appunto l’Anticristo – che per Florenskij ha molte sfumature – ad “assomigliare” a Cristo senza esserlo, a saper essere buono e virtuoso, ad avere “un addestramento alla santità”, ad apparire “il migliore degli uomini” e dunque pericoloso perché seducente. Conclusione attualissima questa, se si pensa a quanti oggi esercitano l’arte della seduzione indicando alle masse sentieri apparentemente virtuosi che spesso si concludono in deliri di onnipotenza, “senza capire che una cosa è il Dio-uomo e un’altra l’Uomo-dio”. La proposta di Florenskij, invece, è la seduzione autentica, quella che Cristo esercita sugli uomini senza costringere nessuno, anzi. Nella riflessione 86 dal titolo “Sull’amore per il male e il cinismo”, quel Cristo ti lascia completamente libero di seguirlo e “non cesserà di amarti se vuoi startene per tuo conto”.

Il ragazzo nato a Tbilisi, il luogo delle radici, che studia e si laurea in matematica a Mosca, frequenta l’Accademia teologica a Sergiev Posad – località ad un’ottantina di chilometri dalla capitale, dove viene ordinato sacerdote – diventa docente della stessa Accademia e pubblica il saggio “La colonna e il fondamento della verità”. Una poderosa summa del suo pensiero – la Colonna – dove il santo scienziato, altrimenti noto come “il Leonardo da Vinci dei russi”, cercherà sempre intersezioni tra il piano fisico e quello metafisico, tra il razionale e l’irrazionale trovando, e per esempio succede nei sogni, un luogo di rivelazione dell’oltre-mondo.

Nel taccuino, infatti, non mancano riferimenti personali. Florenskij – come nel frammento 103, “Geologia dell’anima” – mostra di sé luoghi reconditi della sua di anima.

 

 

Qui fa un lavoro di scavo interiore che svela legami ancestrali: “quanto poco c’è in me di mio e quanto molto dei miei avi”. Ed è tutto un fiorire di immagini: “brani di canti, fumi di incenso, tuniche e icone, braccia tese al cielo, terra nerissima, distese di erba di un inebriante verde smeraldo”. Pezzi di un mosaico tutto di spiritualità che ha nutrito l’anima di Florenskij fino al regalo di una parola dolcissima: infantilità. Quella che si perde nei ceti sociali più agiati e che invece conservano monaci, contadini e filosofi, gli unici capaci “di maneggiare l’essenziale delle cose”. E però la Chiesa – dove lui resta servitore fino all’ultimo suo respiro – rimane l’unico luogo dove sentirsi tutti, profondamente, fratelli.

Post scriptum Florenskj verrà condannato a dieci anni di lavoro forzato per attività controrivoluzionaria e mandato in Siberia prima e dal 1934 poi in un campo di rieducazione nelle isole Solovki. Per due volte, durante la detenzione, il presidente della Cecoslovacchia, Masaryk, si offre di accoglierlo, insieme alla sua famiglia in Cecoslovacchia, ma Florenskij rifiuterà. Dalle sue lettere di quel periodo si evince che è un uomo costretto in una condizione di assoluta disperazione cui lui oppone la sua fede racchiusa, in queste parole: “Tutto posso in colui che mi dà la vita”.

Trasferito a Leningrado nel 1937, padre Pavel Florenskij verrà messo a morte in un bosco fuori dalla città. Il soldatino dell’Armata Rossa incaricato di sparargli sulla nuca in prossimità della fossa avrà un’esitazione. In quell’istante in cui il dito è fermo sul grilletto Florenskij si volta verso il suo assassino per dirgli: “Ricordati sempre di guardare il cielo”. A partire da questo monito, appena dopo aver sparato il colpo, il milite – maneggiando l’essenziale delle cose, il cielo – non avrà altra pace che il Cristo celeste. Sulla soglia della fossa di padre Pavel Florenskij, il soldato incontra la soglia della fede.