La morte del rettore
Franco Anelli suicida, il rispetto dei cattolici per chi sceglie l'aldilà
Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha deciso di morire a 60 anni nella tarda serata di giovedì. Era nella sua abitazione nel centro di Milano quando si è gettato dal sesto piano dello stabile.
Fine giurista, non era digiuno del diritto naturale secondo il quale, prima ancora che per la legge morale codificata nei dieci comandamenti, togliere la vita a un essere umano è un crimine. Né ignorava che il suicidio rientra nella stessa categoria: non è lecito uccidere un altro, quindi nemmeno se stessi. È il peccato mortale con il quale s’infrange il quinto comandamento, ma chi decide di procurarsi la morte sarà davvero in possesso delle facoltà mentali che gli consentono di determinare liberamente i propri atti? Solo Dio lo sa.
Per questo, si può dubitare che sussistano due delle condizioni necessarie per commettere il crimine, cioè la piena avvertenza e il deliberato consenso. Tant’è che perfino il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, dopo aver chiarito che si tratta di materia grave, anzi che si configura un atteggiamento «contrario all’amore del Dio vivente», quindi l’odio, affronta il delicato tema con una formula che invita alla prudenza: «Gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida». (...)
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