Divergenze

Selvaggia Lucarelli, sfregio a Maurizio Molinari: ecco perché attacca Chiara Valerio

Francesco Specchia

Ricordava sempre Shimon Peres quel vecchio detto inglese per il quale «un antisemita è qualcuno che odia gli ebrei più del necessario»; di questi tristi tempi dovrebbe essere impresso sulle testate della libera stampa d’Italia.

Il 7 ottobre del massacro nei kibbutz prima e, di conseguenza, gli attacchi a Gaza contro Hamas stanno facendo passare l’idea del boicottaggio assoluto «degli ebrei sionisti che sarebbero i nuovi nazisti e i palestinesi i nuovi ebrei». Ossia di una distorsione storica che produce strani cortocircuiti ideologici anche nell’alveo delle firme giornalistiche a sinistra. Prendete la scrittrice Chiara Valerio. L’altro giorno, al Salone del Libro di Torino, la candidata al Premio Strega, assieme al direttore di Repubblica Maurizio Molinari, celebrava la «cultura che è una scelta, esattamente come avere gli addominali».

Sicché, subito partiva, implacabile, una story di Instagram da parte di Selvaggia Lucarelli la quale commentava ribadendo, invece, il proprio concetto di “scelta”. «Anche non sedersi accanto a Molinari, in questo momento sarebbe una scelta importante», scriveva l’opinionista, frase griffata con la bandierina della Palestina sventolante. In soldoni, Lucarelli sparava una fucilata, a secco, in faccia a Valerio: cara Chiara, se tu fossi coerentemente contro gli assassini di Israele, non dovresti sedere accanto al direttore di Repubblica, che è ebreo...

 

 

Ora, dando per scontata la piena solidarietà a Molinari; e dando per scontato che Selvaggia è notoriamente collega divisiva e il suo gesto appare perlomeno assai inelegante; e dando per scontato l’accenno di un curioso catfighting, una lotta nel fango tra due pregiate firme al femminile virilmente antigovernative; bè, c’è una considerazione da fare. Emerge tra le varie anime della sinistra, nella gestione del caso Gaza. Ossia di un argomento dialettico estremamente infiammabile. Già in una bella intervista al Foglio Pierre-André Taguieff, uno dei più brillante studiosi delle idee di Francia, spiegava «come fosse possibile arrivare in occidente a giustificare, banalizzare e minimizzare i massacri di Hamas» discutendo di «sionismo immaginario» da un lato; e dall’altro commentava l’imbarazzo degli intellettuali nel cadere nella trappola storica dell’antisemitismo.

Ne esce sia dalle pagine di Repubblica che del Fatto Quotidiano, testata di Lucarelli, una linea editoriale imbarazzata, ambigua e abbastanza sghemba nelle prese di posizione, ora pro ora contro Israele e Palestina. Per esempio. Su Repubblica, alla strenua esaltazione della causa palestinese e - talora, indirettamente- di Hamas da parte di Zerocalcare, ecco la compensazione dello stesso direttore Molinari o dell’editorialista Concita De Gregorio, spinta a specificare che «c’è differenza fra “i palestinesi” e Hamas. C’è differenza fra la giovane Sara e Netanyahu.

 

 

C’è differenza fra Narges Mohammadi, Nobel dietro le sbarre, e l’Iran che la tiene prigioniera». Sul Fatto Quotidiano resiste la presa di posizione di Selvaggia e delle interviste riportate a senso unico di indiscussi nemici di Gerusalemme: l’inviata Onu Francesca Albanese o Cuno Tarfusser, attuale sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano ed ex giudice presso la corte penale internazionale dell’Aja («La condotta di Israele nei confronti dei palestinesi, vista da fuori, ha aspetti genocidiari»). Dall’altro lato però insistono le argomentazioni liberali del condirettore Peter Gomez.

Certo, poi si può spiegare questo paradosso editoriale finché si vuole col rispetto democratico delle opposte opinioni. Ma il lettore ne resta inevitabilmente spiazzato.