Presa di posizione
Serena Bortone, il cerchio si stringe: "Violate le regole Rai", cosa rischia
La Rai invita Serena Bortone a giustificarsi. Non c’è martirio e neppure traccia, almeno per ora, di provvedimento disciplinare. Ma la frittata secondo Pd, Usigrai e cespugli di sinistra rossoverde, è fatta. È passata l’ora di cena, al termine di una giornata particolarmente plumbea, trascorsa tra viale Mazzini e Montecitorio, quando dai vertici della tv di Stato arriva l’annuncio sull’invio di una lettera di contestazione a Serena Bortone in riferimento al post pubblicato dalla giornalista sui propri profili social il 20 aprile. La scintilla da cui hanno preso fuoco le braci fino all’esplosione a 360 gradi della ormai arcinota polemica sulla presunta censura subita dallo scrittore Antonio Scurati assente dalla trasmissione Chesarà...
In pochi minuti, al termine della non meno attesa audizione in Vigilanza dei vertici Rai, l’obiettivo si è così spostato completamente dalla gestione dell’azienda a quella di una polemica artefatta. La stessa dalla quale ha preso le mosse lo sciopero indetto a inizio settimana da Usigrai legato a teoremi su pressioni politiche e censure governative. Tesi legate decisamente più alla contesa politica che al dibattito professionale e aziendale. Al punto che una cospicua parte dei giornalisti Rai hanno scelto di lavorare. Non individuando in Serena Bortone la figura della soldatessa della libertà destinata al martirio. Anzi, interpellato da Libero, Francesco Palese, portavoce del sindacato Unirai (sigla che non ha scioperato) ha espresso con semplicità e nettezza il proprio pensiero: «Sul caso Scurati c’è un’istruttoria interna in corso. Prima di parlare di censura la serietà imporrebbe un minimo di cautela. Se il caso è stato montato ad arte per sputare fango sull’azienda a scopi politici i responsabili non possono farla franca».
Più diplomatico, come nel suo stile, ma non meno netto l’ad Sergio che già in Vigilanza riferiva come in definitiva a Serena Bortone, come avvenuto in analoghi casi, fosse stato contestato il post pubblicato sui social in violazione della normativa della policy aziendale. «Ci sono regole che devono essere rispettate da tutti i dipendenti» ha riferito in sede parlamentare l’amministratore delegato. «La normativa vieta di rilasciare dichiarazioni pubbliche su attività, notizie o fatti aziendali. La contestazione è un atto dovuto e seguirà l’iter previsto dal regolamento». Salvo poi specificare ulteriormente che nei fatti Bortone sia stata per ora solo invitata a chiarire. Senza alcun provvedimento disciplinare. Piuttosto una questione di equità, secondo il dg Giampaolo Rossi. «Se c’è un’uguaglianza di diritti c’è anche un’uguaglianza di doveri. Vale per il direttore generale come per l'ultimo dei dipendenti assunto ieri», ha spiegato Rossi.
ASSALTO ROSSO
Di tutt’altro avviso i toni delle dichiarazioni che arrivano dal sindacato Usigrai. «Roberto Sergio, l’uomo che da dirigente Rai, direttore della radiofonia attaccava pubblicamente sui social il Giornale Radio Rai, ora da amministratore delegato fustiga a colpi di procedimenti disciplinari chi, anche attraverso i social difende la propria libertà e professionalità da un sistema di controllo “asfissiante” sul lavoro dei giornalisti della Rai», dichiara il segretario del sindacato Daniele Macheda. «I provvedimenti annunciati sulla vicenda Scurati sono dunque arrivati ma alla persona sbagliata. Il procedimento disciplinare aperto contro Serena Bortone è inaccettabile». Di procedimento «arrogante e minaccioso» parla la nota ufficiale del Pd. «Il procedimento disciplinare dell’ad Rai Sergio nei confronti di Serena Bortone definisce l’idea che la dirigenza dell’azienda ha del pluralismo informativo. Siamo di fronte ad un atto arrogante, minaccioso, intimidatorio. “Colpirne uno pereducarne cento” è il motto che anima questa maggioranza che vuole rendere l’azienda del servizio pubblico il megafono del governo». Nella tarda serata di ieri, in Vigilanza, il dg della Rai, Giampaolo Rossi, ha spiegato che «in queste ore ci sono state alcune giornaliste, del Tg1 in particolare, che non hanno aderito allo sciopero, tra cui Laura Chimenti, che sono state oggetto di aggressioni violentissime e di minacce di morte perfino sui social».