Divulgatore

Schettini è un fenomeno: la scienza in tv funziona, ma rischia di tradire se stessa

Corrado Ocone

Il Corriere della Sera, che un tempo era il più arcigno e compassato fra i quotidiani italiani, ieri ha celebrato il successo televisivo di Vincenzo Schettini, che pur insegnando fisica a scuola certamente non si può dire che abbia quell’aplomb o quella postura che un tempo sembravano connaturate al ruolo. Vestito casual, con uno sguardo luciferino e una capigliatura niente affatto ordinata (ha gigioneggiato sul suo ciuffo definendolo «un atto di ribellione contro la gravità»), Schettini aveva già raggiunto una certa popolarità sui social, facendosi riprendere mentre faceva lezione e postando i video. Le sei puntate del programma La fisica dell’amore, andate in onda in seconda serata su Rai2, hanno sbaragliato la concorrenza, raggiungendo share ragguardevoli e inaspettati.

Il segreto è presto detto: una semplificazione estrema di una materia ostica come la fisica, una spettacolarizzazione della scienza, un calibrato uso di messaggi extra-scientifici e “politicamente corretti” da mandare al pubblico (sfruttando, ad esempio, il suo essere omosessuale per rivendicare diritti che, per fortuna, nessuno si sente oggi in Italia di negare). In un’ottica liberale e di mercato, non possiamo che compiacerci per il successo di una trasmissione che va incontro ai gusti del pubblico. Chi ha un’altra idea della scienza, tutto sommato, può formarsi su libri ostici per i profani, rinchiudersi nei laboratori, misurarsi con gusti minoritari e più raffinati.

 

E IL SERVIZIO PUBBLICO?

I problemi sorgono però se ci si pone in un’ottica diversa, che è quella del “servizio pubblico”, il quale fin quando esiste dovrebbe integrare con una prospettiva un po’ più ampia quella che è la dinamica che giustamente seguono le tv private. Questa prospettiva è a sua volta liberale perché si fonda su uno dei principi cardine del liberalismo politico, su cui fra l’altro si è costruita la modernità occidentale: quello della distinzione. Che è prima di tutto distinzione degli ambiti di attività in cui si svolge la vita umana, che diventa una vita compiuta (nel senso aristotelico del termine) se quelle attività le sa equilibrare e tenere separate pur nella sintesi volitiva e pratica che è necessaria al campare. Ogni attività segue i suoi specifici “giochi linguistici”, cioè ha un metodo e delle regole che vanno conosciute e rispettate. Detto in maniera più semplice: se tutto diventa spettacolo, non solo nulla più è spettacolo ma anche le altre attività umane, a cominciare dalla scienza, vengono spettacolarizzate, cioè giudicate con canoni estrinseci e non appropriati (quale ad esempio lo share o il successo).

Si crea così una situazione problematica da più punti di vista. In prima istanza, lo è perché appiattisce l’esistenza su una sola dimensione, facendo perdere al mondo i mille colori che lo rendono vario e bello, non uniforme. In seconda istanza, è evidente che un mondo unidimensionale diventa facile preda di conquista da parte del Potere, che può allungare i suoi mille tentacoli sulla vita e sulla quotidianità dei singoli uomini.

 

MODELLO COVID

Una dinamica del genere l’abbiamo vissuta ai tempi del Covid, quando qualsiasi tipo di tesi, anche la più bizzarra, ci è stata accreditata come “scientifica” e pertanto indiscutibile.

Tanto che chiunque osasse dissentire, o ponesse semplicemente una domanda, fosse pure di buon senso, veniva non affrontato con le armi della critica ma con quelle della delegittimazione culturale e morale. Contravvenendo, fra l’altro, proprio al principio fondante della scienza, che è quello della falsificabilità dei propri assunti. Che gli scienziati ridotti a uomini di spettacolo non esitino spesso ad assecondare questa dinamica non è giustificabile, ma è del tutto comprensibile: in pochi hanno la forza di rinunciare al quarto d’ora di popolarità solo per inseguire un ideale di scienza del tutto non spendibile in una società mediatizzata. Ci siamo dimenticati dei virologi che, d’improvviso, erano diventati star del video, che passavano da un canale all’altro, che non esitavano un attimo nel banalizzare la scienza assecondando lo “spirito dei tempi” e che monetizzavano le loro comparse con tanto di tariffario? Le loro erano ormai diventate a tutti gli effetti delle performance.

Sorge allora, in conclusione, una domanda: a chi toccherebbe fare una sintesi delle diverse esigenze contrastando tali derive? Non c’è dubbio nella risposta: alla politica, che è passione e dialettica democratica, che non neutralizza ma coltiva il conflitto. In una parola a quella politica che è vera e nobile quando non fugge dalle proprie responsabilità richiamandosi a entità astratte come la Scienza, la Morale, la Verità. Quanto a Schettini, celebriamolo pure come comunicatore e uomo di spettacolo, ma per favore non ergiamolo a scienziato!