L'incontro

Javier Milei e Papa Bergoglio, due argentini agli antipodi ma con un nemico in comune

Corrado Ocone

La visita di Javier Milei in Italia è tutto sommato passata sotto silenzio, non conquistando i titoli in prima pagina dei giornali. E ciò nonostante l’importanza che ha per il nostro Paese l’Argentina, abitata da una popolazione in larga maggioranza di origine italiana. Questo disinteresse la dice lunga sui pregiudizi politici di certo nostro giornalismo (vi ricordate il trattamento diverso che ricevette l’ex premier finladese Sanna Marin, in visita da Draghi, qualche anno fa?). Ma ne mostra anche, per così dire, la scarsa curiosità intellettuale. La figura e le idee di Milei sono infatti molto atipiche fra i leader mondiali.

In molti vedono nel suo programma di governo una sorta di “esperimento politico”: una rivoluzione prima di tutto mentale perché propone di cambiare completamente i paradigmi con cui affrontare i seri problemi dell’Argentina, e in genere dell’America latina. Catalogato frettolosamente e superficialmente fra i “populisti” alla Trump o alla Bolsonaro, il massimo sforzo ermeneutico di cui sono stati capaci i nostri commentatori è quello di meravigliarsi sul fatto che il presidente argentino, mai tenero verso le concezioni politiche e sociali di papa Bergoglio, abbia deciso di incontrarlo definendolo «l’argentino più importante della storia». Quasi che il fatto di riconoscere l’importanza di un interlocutore imponga di condividerne in toto le idee! Anche solo da un punto di vista formale, divenuto presidente dell’Argentina, Milei non poteva ignorare la sensibilità cattolica del suo popolo e il fatto che per un credente il Papa è comunque il capo di tutta la Chiesa, indipendentemente dalle sue idee.

 

 


VISIONI OPPOSTE
Che i due siano agli antipodi nel modo di pensare, è però innegabile. Se Bergoglio non perde occasione per prendere distanza dall’Occidente, Milei proprio per sottolineare la sua fedeltà ai valori occidentali ha scelto Israele come tappa del suo primo viaggio ufficiale. E gli ha portato quella solidarietà che in molti in Occidente gli stanno negando in questi mesi. Se papa Francesco ha fatto del rispetto di un ambientalismo ideologico uno dei cardini del suo pontificato, Milei ha invece affermato a Davos che il conflitto dell’uomo conto la natura (come quello dell’uomo contro la donna) è semplicemente un modo per i socialisti di rimpiazzare la vecchia lotta di classe. Sempre a Davos, il presidente argentino ha tessuto una lode del profitto e del capitalismo come generatore di ricchezza per tutti, laddove forse mai c’è stato papa più contrario al libero mercato dell’attuale. Papa Francesco, in sostanza, non sottoscriverebbe mai un’affermazione come questa di Milei: «Il capitalismo non è solo l’unico sistema per porre fine alla povertà del mondo, è anche il solo moralmente desiderabile». Il fatto che qui Milei parli di “sconfitta della povertà” ci mette però sulla traccia di un possibile punto di incontro fra due concezioni del mondo davvero antitetiche. Intanto, quel che deve essere chiaro è che Bergoglio e Milei sono i rappresentanti nel nostro tempo di due tradizioni di pensiero ben consolidate: quella del liberalismo individualistico, nel caso del primo; quella del “populismo gesuita”, risalente addirittura alla Conquista, di cui ci ha parlato Loris Zanatta in un suo libro, nel caso di Bergoglio. Bene, queste due tradizioni hanno entrambe una visione antistatalistica della realtà, diffidano cioè delle grandi strutture di potere e mettono al centro l’uomo concreto con i suoi bisogni vitali.

UN COMUNISTA?
Spesso si è detto provocatoriamente che Bergoglio è un “comunista”. Non è del tutto falso, in verità, ma solo se per comunismo si intende non quello di Marx ma l’altro delle comunità religiose che vivono di poco e in perfetta condivisione dei beni. Un po’ come erano i gesuiti al tempo delle prime missioni. Che questo modello sia estensibile alle nostre società complesse e che esso non generi attriti di sorta al suo interno, è però quanto meno discutibile. Il suo carattere utopico è fin troppo evidente. Molto più realistico è invece considerare l’uomo per quello che è, facendo leva sulla sua capacità di creare ricchezza per sé e per la società. Se la povertà si è drasticamente ridotta negli ultimi secoli, in termini relativi e assoluti, nonostante una poderosa crescita della popolazione, un merito indubbio il sistema di mercato lo ha avuto. L’Argentina, terra di ricchezze immense, è in una crisi profonda. È del tutto un caso se essa è precipitata man mano che uno statalismo corrotto avocasse a sé tutto il potere? Forse, alla fin fine, Milei e Bergoglio hanno un nemico comune e non lo sanno.