Sotto l'albero
Luca Bottura, le ironie su Berlusconi morto: ecco il libro-sfregio
Il nuovo libro di Luca Bottura ha un pregio (cioè esattamente uno in più di quanto era lecito aspettarsi): il titolo. Con quel Meno male che Silvio c’era (Baldini+Castoldi) il cosiddetto autore satirico (chiediamo scusa a Giovenale) ha compiuto uno sforzo di sincerità non comune, è come se si fosse preso in carico un’ammissione collettiva.
Per fortuna sei esistito, Cavaliere, altrimenti noi onesti artigiani della parola conformista, noi seconde file della gioiosa macchina dell’aperitivo radical (chic è troppo nel caso di specie, onestamente) come avremmo messo insieme il pranzo con la cena? Certo, chi è abituato a vivere di risulta, chi necessita del talento altrui per convincersi di averne uno proprio, trova sempre materiale umano a cui aggrapparsi.
Ma Lui, come ogni tanto viene appellato con deferenza solo apparentemente ironica nel libro, era un’altra cosa. «Chi scrive appartiene alla schiera piuttosto folta di gente che deve alle battute su Berlusconi un frammento edile, una parte di tinello, qualche complemento d’arredo», confessa Bottura in un lampo di verità, seppur probabilmente all’insegna della stima per difetto. Eppure, l’ammissione racchiude anche lo scacco della satira antiberlusconiana: quello di essere sempre stata ragione di vita professionale e militante, quindi al fondo ideologia. È il suo posto di retrovia nell’intellighenzia organica e addetta al pestaggio dell’uomo di Arcore, che manca all’autore, è la Resistenza parodistica al Drive In e alla «programmazione basata sull’evasione, non solo fiscale» (sì, il livello di comicità spesso involontaria è questo) come simulacro della Resistenza dei padri e dei nonni, che costui rimpiange con l’inconsolabilità del reduce.
L’antimelonismo, nei cui battaglioni si è comunque prontamente riciclato (ora su La7 fa la spalla di Marianna Aprile, a sua volta spalla di Luca Telese, e il dramma è che sembra il meno fazioso del trio), non gli procura lo stesso brivido. Forse manca un carburante essenziale della ferocia antiberlusconiana: l’invidia sociale. Essì, Silvio era ricco, dannatamente ricco, tasto su cui Bottura batte insistentemente. E la ricchezza vera è sempre una colpa, per la gauche mediamente borghese mediamente al caviar, specie se non è accompagnata da contrizione posticcia, ma anzi ludicamente e fin sfacciatamente rivendicata (sì, anche con toni da “parvenu brianzolo”, come l’autore definisce con eleganza lo scomparso, avercene, di capitani d’impresa e d’ingegno brianzolo come il Cavaliere, in un Paese spesso sequestrato dal capitalismo clientelare romano).
Il risultato di questo Spleen ideologico, di questa nostalgia del nemico che “meno male che c’era”, è che Bottura finisce per scrivere come una versione mediocre di Travaglio: «Silvio Berlusconi appartiene a una categoria che spesso ha conquistato il mondo: i mitomani di potere». Come tale, sfoggiava «due caratteristiche decisive»: «un’ostinazione indefettibile» e la facoltà di «credere alle balle che raccontava» (quest’ultimo in realtà è un calco di Montanelli, ma il debito non è riconosciuto, nonostante il crepuscolo antiberlusconiano Indro è pur sempre lo spauracchio di tutti i Bottura avvezzi a confondere il giornalismo con l’ufficio stampa del Pci-Pds-Ds-Pd).
È evidente che se si frulla in questo bozzetto caricaturale tutta un’epopea pluridecennale e frastagliata, cento vite in una e tutte straordinarie, la rivoluzione dell’edilizia cittadina, la rottura del monopolio statalista della tivù (che l’autore televisivo Bottura pare rimpiangere, l’antiberlusconismo è spesso un masochismo), la riscrittura da capo di quel giocattolo nazionale che è il calcio, la creazione di un partito in una manciata di mesi per evitare che quelle del ‘94 assomigliassero alle elezioni della Germania Est, beh in questo caso è difficile realizzare della satira, si può al massimo fare della (pessima) propaganda. Un esempio minimale di propaganda botturiana. Sapete perché oggi, come ogni Vigilia, Mediaset trasmetterà Una poltrona per due? Ma è ovvio, perché il fondatore si riconosceva, era «un Eddie Murphy appena più chiaro» (che è poi il capovolgimento della battuta berlusconiana sull’Obama abbronzato, il battutista non è nemmeno originale). E la ragione di tale identificazione è che i protagonisti ottengono la loro rivincita.
«COMMETTENDO UN REATO»
Sì, lo scrive proprio in stampatello. Sì, anche noi di primo acchito stavamo componendo il numero 118 sul display, ma vogliamo rassicurarvi, Bottura è pienamente in sé, sta nella parte che ha incarnato per lustri, riciccia il linguaggio che ha sempre frequentato, l’avversario politico come criminale comune. Semplicemente, non ha elaborato il lutto. È l’ultimo, grande rimprovero che rivolge a Silvio Berlusconi: essersene andato. Avrebbe tanto voluto credere all’illusione del Cavaliere sulla (sua) immortalità, Bottura. Per essere sempre qualcosa, o qualcuno, tramite Lui. Beh, almeno riesce a tradurre l’Assenza in un ultimo giro di marketing letterario. Cioè, non se ne esce, di berlusconismo.