Intervista
Giampiero Mughini: "Io non ho colpe se dei miserabili uccidono delle donne"
Giampiero Mughini è un giornalista, uno scrittore, un pensatore, un bastian contrario, un polemista, uno che rompe le scatole un po’ a tutti. Ha 82 anni, ma ha ancora lo spirito di Gianburrasca. È nato a Catania, durante la guerra, è arrivato a Roma alla vigilia dei 30 anni, ha fatto il Sessantotto, ha scritto per il Manifesto appena nato (ma solo per pochi mesi), poi ha firmato come direttore di Lotta Continua, nel 1980 ha rotto col suo passato politico e ha scritto un libro intitolato “Compagni Addio”, ha collaborato con moltissimi giornali, e oggi continua a distribuire idee e sapere, di solito di buon senso, riuscendo sempre a scandalizzare. È così: spesso il buonsenso scandalizza più delle scemenze.
Giampiero, dimmi la verità: ti senti un po’ patriarca?
«Nemmeno un po’. Non ho mai sentito nella mia vita qualcuno che lo fosse, qualcuno che dicesse delle stupidaggini sul fatto che le donne vengono dopo o sotto gli uomini. Non ho mai sentito nessuno pronunciare queste cretinerie. Dalla mia adolescenza ho sempre pensato che le donne fossero le più difficili e le più importanti interlocutrici».
Che rapporto hai avuto con le donne nella tua vita? Ti sei mai sentito superiore a loro?
«Ho avuto un rapporto intensissimo con le sei, sette donne che ho avuto, e non vedo come avrei potuto sentirmi superiore. È una stupidaggine al di sopra delle mie possibilità».
Questa storia che noi stiamo vivendo in una società patriarcale è una balla assoluta?
«No, è il frutto del fatto che ci sono alcune centinaia di miserabili che non esitano dinanzi all’ipotesi di ammazzare una loro ex. Non sono degli uomini: sono dei miserabili, degli sciagurati e delle nullità».
Secondo te è giusto trasformare una colpa individuale in una colpa sociale?
«Assolutamente no. Se qualcuno mi dicesse che io sono in qualche modo corresponsabile di quello che ha fatto Turetta, io gli do uno schiaffo».
Molti uomini, vip e non solo, si sono lanciati nella campagna “mi vergogno di essere uomo”. Cosa ne pensi?
«Loro dicano ciò che vogliono, ne hanno piena facoltà. Io trovo queste espressioni surreali».
Cosa hai pensato di fronte a quella fiumana che ha invaso il Circo Massimo gridando slogan pro Hamas?
«Ti dovrei dire tutto il male possibile perché è la verità. Ma preferisco non aver ascoltato questa domanda che attiene ad una cosa ributtante nel nostro tempo».
Come hai vissuto il femminismo negli anni ’70?
«Le protagoniste erano quasi tutte mie amiche. Venivano a casa mia. Da single le ospitavo e preparavo loro il pasto, e sentirmi messo sotto accusa in quanto uomo mi sembrava una cosa assolutamente immeritata. Detto questo, ho letto i loro libri, le loro riviste, conservo come cimelio i primi libri, le edizioni originali di Carla Lonzi, la prima vera femminista italiana».
Che differenza c’è fra il femminismo di ieri e quello di oggi?
«Quello di oggi mi sembra abbia meno ragione d’essere perché nel frattempo nella società reale, come era inevitabile, le donne hanno trovato un posto di rilievo, di assoluta parità con gli uomini. Io ho lavorato in giornali dove avevo direttori e vice direttori e capiredattori donne, con cui ho avuto rapporti, nel bene e nel male, esattamente come con gli uomini, ovvero ammirandole quando erano di valore, ululando quando mi rompevano le balle».
Ti reputi un uomo di sinistra?
«No, penso che questo termine non abbia più molto senso nell’Italia e nell’Europa del terzo millennio. Certamente non sono un uomo di destra. Mi reputo una brava persona».
Pensi ti sia rimasto qualche legame con le idee della sinistra?
«Con le idee non tanto. Conservo dei legami sentimentali dalla memoria con personaggi della sinistra di cui sono stato amico e allievo. Te ne cito uno che oggi non direbbe nulla di nulla, un giovane Vittorio Foa, sindacalista socialista degli anni ’60, che è stato uno dei miei grandi maestri. Questa figliolanza la sento oggi immutata».
Hai citato i sindacati. Cosa pensi dei sindacati di oggi e delle innumerevoli chiamate alle piazze e agli scioperi?
«Sono cialtronate. Impedire a un uomo di andare a lavorare bloccando il treno e quindi impedendogli un reddito e il pagamento delle tasse su quel reddito, è da cialtroni. Non c’è altro termine».
C’è però chi dice che lo sciopero è un diritto e non si deve toccare?
«Il diritto allo sciopero nella Costituzione era sottoposto al non essere di grande disagio, a non avere effetti controproducenti, quindi secondo me il diritto allo sciopero è legittimo entro determinati limiti. Poi li facessero pure questi scioperi. Io, ad esempio, non ho mai aderito agli scioperi dei giornalisti».
Perché?
«Trovavo ridicolo che noi giornalisti scioperassimo. Se avevamo qualcosa da obiettare bastava scriverla sui nostri giornali. Quando i giornalisti scioperavano, io ero l’unico che andava in redazione anche se mi facevo togliere la paga come quelli che scioperavano».
Rivendichi o ripudi il tuo passato da sessantottino?
«Ripudio no, perché significherebbe essermi macchiato di cose brutte che non mi appartengono. Però le idee che erano state le mie fino ai primi anni’70 sono diversissime da quelle mie di oggi. D’altra parte cosa è vivere se non cambiare e maturare le proprie idee?».
Del resto solo gli imbecilli non cambiano idea, giusto?
«Solo gli imbecilli non cambiano idea». (ride)
Quando oggi senti gridare al fascismo cosa pensi?
«Mi viene da ridere. Il fascismo c’era un secolo fa, anzi, un millennio fa».
Hai letto che volevano cambiare il nome a Cervinia perché coniato nel ventennio? Pare abbiano cambiato idea
«Dinnanzi ai vertici dell’imbecillità non rimane che assistere in silenzio».
Mi dici sinceramente cosa pensi di Giorgia Meloni?
«La Meloni è in gambissima. Io l’ho avuta di fronte da una ventina di anni a questa parte. Oltre ad essere i nostri rapporti i più squisiti possibili, non le ho mai sentito sbagliare una sillaba».
Di Elly Schlein cosa mi dici?
«Io non ne penso nulla perché non vedo cosa ne potrei pensare. Non c’è nulla di lei che sollecita il mio giudizio e la mia passione negativa o positiva. Penso che il partito democratico da lei guidato sia destinato all’irrilevanza».
Ricordi della tua Sicilia?
«Non ne ho un ricordo felice, infatti io non ci tengo a dirmi siciliano, io dico che sono italiano. Era una provincia dove noi ragazzi un po’ indisciplinati eravamo guardati dalla maggioranza con occhio storto. Sono voluto fuggire al più presto dalla Sicilia, ed è ciò che ho fatto il 5 Gennaio del 1970 con sei mila lire in tasca».
Da italiano, come reputi questo periodo storico?
«Trovo ridicolo che sulle prime pagine dei giornali si parli del ministro Lollobrigida laddove in Italia, nell’Italia reale di oggi, nel meridione dell’Italia di oggi, i pensionati superano il numero dei lavoratori attivi, il che significa che fra quattro, cinque anni o forse prima, non ci saranno i soldi per pagare le pensioni».
C’è chi dice che ce le pagheranno gli immigrati...
«La questione è drammatica. Il lavoro non lo si crea con la buona volontà. Il lavoro negli anni ’50 lo crearono con i sacrifici, la fantasia, la capacità di soffrire. Lo crearono quelli che dal sud emigrarono in condizioni difficilissime al nord. Il lavoro non viene dalla buona volontà di qualcuno. Viene dal funzionamento di una società e in questo momento la nostra società funziona molto male. L’Italia corre il rischio di sparire come Nazione far cinquanta sessant’anni».
Si parla di educazione sentimentale di massa nei giovani. Cosa ne pensi?
«Non sono stato educato da nessuno, mi sono educato con le mie forze. Sicuramente è meglio che sentano dire cose ragionevoli che insensate, ma poi ognuno se le da da sé le condizioni che lo fanno vivere in mezzo agli altri».
Una piccola cosa sulla guerra che si sta combattendo fra Israele e Hamas?
«È la massima tragedia che si sta consumando nel nostro tempo, cui non vedo al momento alcuna possibile via di uscita. Con la morte nel cuore. Il tema che a me interessa di più è questo: che israeliani e palestinesi possano vivere gli uni accanto agli altri e non ammazzarsi gli uni contro gli altri».