Medio Oriente
Cacciari, la profezia sul "Grande Israele": mondo sul baratro?
La guerra a oltranza per sconfiggere Hamas e occupare tutta la Striscia di Gaza è quello che ha promesso il premier israeliano Benjamin Netanyahu come reazione agli assalti terroristici del 7 ottobre durante il quale sono stati fatti oltre duecento prigionieri.
Possono andare bene alcuni giorni di tregua dai bombardamenti per permettere lo scambio degli ostaggi e per far arrivare alla popolazione palestinese stremata qualche aiuto umanitario. Poi però, si torna a combattere. "La guerra continua, si riaccende", constata il professor Massimo Cacciari su La Stampa in un articolo dove fa notare che tra le due uniche possibili vie d'uscita da questo conflitto, Tel Aviv sembra aver scelto quella della formazione del "Grande Israele" con tutte le conseguenze del caso. Scartata la scelta di convocare "una Conferenza internazionale di pace" che produrrebbe "mutamenti immediati negli assetti delle rispettive leadership, la cui inadeguatezza è palese, e riaprire le possibilità di accordi tra Palestina e Israele, possibilità calpestate da una parte e dall'altra dopo Camp David e Oslo".
"Solo una Conferenza di pace può avviare concretamente il processo verso la formazione di uno Stato palestinese, che non sia l'imitazione di un lager e dunque il grembo sempre fecondo di Hamas, di uno Stato retto da leader responsabili e dunque capace di riconoscere sine glossa il diritto a esistere dello Stato di Israele", puntualizza il prof Cacciari. Peccato che le dichiarazioni e soprattutto i nuovi bombardamenti sulla Striscia di Gaza facciano capire che le considerazioni che si fanno a Tel Aviv sono altre. "Se il governo di Israele è giunto alla convinzione che il pericolo rappresentato da Hamas e dalle formazioni sue alleate, sostenute in primis dall'Iran, non è superabile attraverso accordi e tantomeno attraverso la formazione di un vero Stato palestinese, non ha che un'alternativa di fronte: la formazione del Grande Israele", fa presente il prof Cacciari. "E la prima tappa", spiega, "è allora la distruzione dell'Autorità palestinese, constatata la sua incapacità a "contenere" l'assalto terroristico". "Con la rottura della tregua questa sembra essere la strada che l'attuale governo israeliano è intenzionato a percorrere", aggiunge Cacciari sottolineando che è lecito per Israele sostenere che non avrà mai sicurezza con un potere confinante da cui lo separano ormai decenni di sangue e distruzioni. Il problema, secondo il filosofo, è che portando la guerra fino all'ultimo a Gaza e moltiplicando le colonie nei territori non farebbe altro che rendere ancora più insicuri quelle terre.
A questo proposito Cacciari fa notare che "Israele è in guerra dal momento della sua fondazione. Ma lo possono i suoi alleati?". "È evidente che gli Stati Uniti ritengono che il proseguimento di una guerra volta alla distruzione dell'idea stessa di uno Stato palestinese non corrisponda affatto ai propri interessi, alla propria sicurezza, alla propria strategia geo-politica", puntualizza il prof spiegando che "gli Stati Uniti, e dunque l'Occidente oggi americano, sa bene che il conflitto tra Palestina e Israele condotto nelle attuali forme è destinato a esasperare le posizioni estreme in tutto il mondo arabo e a stressare gli stessi alleati più fedeli, sauditi, emirati, sceicchi vari".
Quanto all'Europa, dovrebbe farci riflettere il pericolo terrorismo: "Anche se il perseguimento della vittoria sul campo rappresentasse una strategia realistica per la sicurezza di Israele, non la sarebbe affatto per i suoi alleati". "Quale sicurezza reale può raggiungere Israele destabilizzando la forza dell'Occidente che lo sostiene?", chiede provocatoriamente Cacciari.
"L'occupazione di terra non assicura nulla e nessuno", dice il prof lanciando l'ennesimo appello per la pace. "Non piace la parola pace? Realisticamente impossibile? Troppo irenistica? Chiamiamola allora Atto di Responsabilità per Arrestare il Massacro", tuona Cacciari. "L'Occidente dei Diritti dell'uomo se ne faccia promotore. L'acronimo – almeno nella nostra lingua – avrebbe un suono semitico bene augurale: Aram, che in arabo significa luogo sacro e inviolabile. E se questo non bastasse ancora guardiamo agli interessi materiali di Stati Uniti e di Europa, e dunque dello stesso Israele. A questi almeno, se non ai nostri "valori", dovremmo essere in grado di prestare ascolto". "La ricerca del proprio utile potrebbe per una volta coincidere col bene comune, e soprattutto col bene di quelle donne e quei bambini bombardati a Gaza e degli altri che in Israele vivono nell'incubo di nuovi 7 ottobre", ha concluso Cacciari.