Movimento politicizzato
Ritanna Armeni: "Giulia? Rabbia giusta ma il patriarcato non è di destra"
«Noi avevamo il problema di affermare la nostra identità femminile, di dire che non era assimilabile al maschile. E volevamo distinguerci dai partiti, a cominciare da quelli di sinistra, più vicini a noi, perché la nostra ribellione ai maschi era ribellione innanzitutto ai maschi di sinistra. Se non altro perché li avevamo in casa...». Ritanna Armeni, per tanti anni giornalista, ora scrittrice affermata (il suo ultimo libro, Il secondo piano), è stata una protagonista del movimento femminista degli anni Settanta.
Cosa ne pensa del nuovo volto del movimento femminista che si definisce “transfemminista”, usa la schwa, si schiera con la Palestina?
«Il movimento delle donne è come un fiume carsico. Sembra scomparso, poi invece esplode. Naturalmente ogni volta che riemerge, non è uguale a se stesso. Il movimento femminista degli anni ’70 non era uguale a #MeToo. E il movimento di oggi è diverso da quello in cui io sono nata.Questo non vuol dire non abbia motivi altrettanto validi».
In cosa è diverso?
«Innanzitutto le donne, ai miei tempi, avevano molto forte il problema dell’identità femminile che si voleva distinguere dal maschile per potersi esprimere. La schwa è un modo di praticare immediatamente una parità dei sessi sul piano grammaticale e linguistico. Mentre a noi interessava esplicitare una differenza».
Altre diversità?
«Questo movimento ha immediatamente una connotazione anche politica. Di schieramento. Mentre noi avevamo il problema di distinguerci da partiti».
Anche da quelli di sinistra?
«Soprattutto da loro. La nostra ribellione agli uomini era innanzitutto ribellione agli uomini di sinistra. Se non altro perché li avevamo in casa, erano i maschi sotto mano».
Il movimento femminista di oggi no?
«Mi pare sia più orientato a schierarsi direttamente a sinistra, anzi vicino all’ultra-sinistra».
Vede altri elementi diversi?
«Io, per esempio, non faccio risalire il patriarcato alla destra, al centrodestra e quindi alla presidente del Consiglio. Purtroppo, il patriarcato è un fenomeno più vasto. Che riguarda tutti. Anche le donne. Se no, non sarebbe stato così efficace. Mentre mi pare che queste ragazze siano convinte di poterlo superare rapidamente. Detto questo, io, oggi, sto con loro».
In che senso?
«Questo movimento è di grandissimo interesse. Fa riemergere una coscienza femminile che sembrava morta. Soprattutto, la rabbia è la stessa. Noi avevamo una rabbia enorme contro un mondo maschile che ci discriminava. Loro hanno altrettanta rabbia contro il patriarcato. In questo mi identifico. E in piazza sto con loro, pur non condividendo molte cose, a cominciare dalla non condanna degli stupri di Hamas».
Altro punto che ha fatto discutere. Cosa ne pensa?
«Per me le donne vengono prima. La lotta palestinese è importante, ma viene dopo il fatto che le donne ebree sono state stuprate. Mentre, da quanto leggo, in questo le organizzatrici della manifestazione sono state soverchiate dalla politica. Mentre io non vedo contraddizione: posso essere filo-palestinese, ma essere orripilata da quanto avvenuto il 7 ottobre in Israele. A loro giustificazione c’è la considerazione che il maschio occidentale non aspetta altro che dire i maschi pericolosi sono solo da una certa parte del mondo. Mentre non è così».
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In queste settimane c’è stata una gara di uomini a chiedere scusa. La convince?
«Mi fa piacere che abbiano preso consapevolezza. A un certo punto, però, questa vicenda sta diventando una giustificazione: “Siccome c’è una crisi del patriarcato, aiutateci”. Eh, no. Ci sono i femminicidi! Se c’è questa crisi, è ora che voi maschi prendiate in mano la vostra crisi. Ho un suggerimento: fate dei gruppi di autocoscienza. Partite da domande facili-facili. Tipo: “Perché in un gruppo di lavoro se la donna viene promossa, soffro di più? Forse, se si fanno queste domande, arrivano al nucleo della faccenda».