L'intervista

Giulia Cecchettin, Giuseppe Cruciani: "Le scuse? Solo sul carcere a vita"

Hoara Borselli

«Perché mi stai cercando? Ho già detto tutto alla radio. Devo farmi insultare ancora una volta dai cosiddetti progressisti che pensano che abbia attaccato la sorella di Giulia Cecchettin?».  Chi parla è Giuseppe Cruciani, per molti definito una voce scomoda perché non ha mai paura di dire ciò che pensa anche quando il suo pensiero non segue il diktat del pensiero unico. Detesta il politicamente corretto e non ha paura a urlare contro chi, questo dogma dominante, lo sventola come verità assoluta. Il suo programma radiofonico, “La Zanzara”, che conduce insieme all’amico David Parenzo è un appuntamento fisso, ogni sera, per milioni di radioascoltatori. Ai tanti vip che si fanno testimonial di messaggi social quali «mi vergogno di essere uomo», Cruciani ha risposto: «Io non mi sento colpevole».

Giuseppe, nell’immaginario collettivo, all’indomani del terribile assassinio di Giulia, al patibolo c’è finito il “maschio”, dipinto come il mostro da cui tenersi lontani. Cosa sta succedendo?
«Sta succedendo che dopo il ritrovamento del cadavere della povera Giulia Cecchettin e le parole della sorella Elena, incredibilmente, è iniziato il processo al maschio omicida, al maschio stupratore, al maschio violento che racchiuderebbe tutti i mali della società».

Tu a questa narrazione non ci stai...
«Non ci sto perché è una gigantesca bufala ed è anche un’offesa alla vittima perché in questo modo si sposta l’attenzione dall’unico vero colpevole che è Filippo Turetta verso un genere che è quello maschile, reo di non essere stato rieducato».

La responsabilità individuale che diventa responsabilità sociale?
«Esatto. Non si dice che la colpa è dell’assassino ma della società che non è stata in grado di educarlo. Una sorta di depotenziamento della responsabilità del singolo, figlio della cultura patriarcale. Ma quale cultura patriarcale? Finiamola di dire cazzate».

Dire che quell’atroce delitto sia figlio della cultura patriarcale la vedi come una sorta di attenuante che si concede a Turetta?
«Sì. E può portare anche, come è già capitato in qualche tribunale italiano, a dire che se è la cultura a generare mostri, è giusto concedere attenuanti all’imputato».

Ti riferisci alla sentenza di Brescia dove il Pm ha chiesto l’assoluzione per il bengalese che ha picchiato la moglie, archiviato come “fatto culturale”?
«In alcuni tribunali, e questo che hai citato ne è l’esempio, la discriminante culturale è stata fatta valere. Io credo che in questo caso non verrà utilizzata, ma nell’opinione pubblica, questo ripeterselo significa spostare l’attenzione da quello che è l’unico vero colpevole, ovvero un ragazzo, un uomo, che da soggetto singolo diventa la pluralità degli uomini o alla società che non fa abbastanza».

Non ti riconosci nella società che viene raccontata?
«La realtà dimostra esattamente il contrario per fortuna. Dimostra che l’omicidio, la violenza nei confronti di una donna in Italia, sono fenomeni largamente minoritari. Ovviamente anche un solo omicidio è grave ma non possiamo pretendere di vivere in una società dove non ci siano omicidi. Non esiste l’eden, non esiste la società perfetta in cui qualcuno non ammazzi o eserciti sopraffazione nei confronti di un’altra persona».

Fenomeni che non hanno a che fare con il genere mi vuoi dire.
«Non è la nostra quella società dove questo può essere considerato un fenomeno culturale. Questo esiste ma in quei paesi islamici, africani, dove l’uomo esercita nei confronti della donna una superiorità evidente e i cui gesti e le violenze vengono giustificati dalla religione. Ma non è il caso di paesi occidentali come il nostro».

In radio hai citato Francesca Renga definendo una follia la frase che ha postato sui social: “Giulia ti chiedo scusa”.
«Follia per un senso di colpa che trovo ingiustificato. Perché dobbiamo sentirci vittime, come società, di essere indietro. Noi non siamo indietro.
Siamo avanti, molto avanti. La donna è iper protetta. L’essere umano lo è dalle leggi, dalla comunicazione. Io avrei trasformato quella frase in altro modo».

Come?
«Avrei scritto “Giulia ti chiedo scusa se questo signore uscirà dal carcere dopo 20 anni”. Questo è il punto. Noi dobbiamo scusarci se come società non siamo in grado di punire abbastanza e assicurare agli assassini un carcere a vita a mio parere. Senza permessi premi o uscite perché grassi e fumatori dopo aver ammazzato con trentacinque coltellate una ragazza. Di questo dobbiamo chiedere scusa».

Qualcuno ti ha attaccato perché hai commentato le parole di Elena Cecchettin che ha definito l’assassinio della sorella “violenza di Stato”.
«I parenti delle vittime vivono una sorta di intoccabilità che posso pure comprendere, infatti non discuto la sua esposizione mediatica. Ognuno reagisce ai drammi come vuole, rinchiudendosi nel silenzio o parlando. Se una persona si espone, va in televisione e dice certe cose non possiamo stare zitti perché c’è un diritto da parte di chi fa comunicazione a commentare ciò che uno dice».

Tu cosa pensi di quelle sue parole?
«Le ho trovate parole assurde. Nel rispetto della tragedia le reputo parole senza senso. Che derivano da un mondo immaginario che non esiste. Non ho insultato lei. La sua polemica con Salvini per un post l’ho trovata una cosa senza alcun senso logico. Alla sua frase che tutti gli uomini devono sentirsi colpevoli per la tragedia della sorella, ho risposto così: “Io non mi sento colpevole”».

Possiamo dire che si è tornati a parlare di “maschi” e “femmine”.
«Fino a qualche giorno fa era quasi un’offesa sottolineare il genere. Gli stessi che fino a ieri ci dicevano di non fare il distinguo maschio-femmina, sono quelli che oggi sottolineano questa differenza. Il maschio cattivo e la donna vittima».

Una contraddizione che puzza di ipocrisia?
«Non solo questa. Gli stessi che protestano per il maschio cattivo sono gli stessi che poi non protestano contro le vere sopraffazioni della donna che avvengono nelle società islamiche, nelle società dominate da Hamas, nelle società dominate dai Mullah iraniani, nelle società africane dove il ruolo della donna è totalmente marginale se non addirittura al servigio dell’uomo».

Educazione sentimentale nelle scuole sì o no?
«Altra baggianata colossale trasversale che riguarda destra e sinistra. Quando non si ha nulla da dire bisogna proporre qualche formula, qualche cosa di nuovo. Come evitare che un altro Filippo Turetta ammazzi un’altra Giulia Cecchettin? Ecco che arriva l’educazione sentimentale che non serve a nulla, è una cretinata».

Perché una cretinata?
«In Paesi del Nord Europa dove nelle scuole esiste l’educazione sentimentale si registrano tassi di violenza altissimi. Con questo non voglio dire che non conti assolutamente nulla ma ritengo che i corsi a scuola per sconfiggere la violenza sono totalmente inutili».

Tu cosa proporresti?
«Io da sempre punto su un’altra cosa; quando si tratta di relazioni fra coppie, affrontare la questione del possesso e della gelosia. Su questo ognuno di noi in piccolo qualcosa può fare anche se non penso risolva. Ogni caso è diverso, ma possesso e gelosia sono alla base di molti gesti inconsulti. Pensare che il corpo della propria donna, o uomo, sia anche nostro. Tutto questo in menti disturbate e anche non disturbate può portare alla violenza se perdiamo il compagno. Dicono che è colpa del patriarcato per non dire che è colpa della monogamia ossessiva».

Si è arrivati pure a criminalizzare il governo per questa deriva culturale.
«Abbiamo sentito di tutto, in un crescendo rossiniano di baggianate, supercazzole e banalità assortite: colpa dello Stato, colpa del patriarcato, colpa della cultura dello stupro, poi anche colpa delle canzoni trap, non è mancata la colpa della pornografia, e pure del catcalling, ovviamente della destra retrograda e cattiva, poi delle leggi che non ci sono, per finire col dare qualche responsabilità pure alla Meloni, che secondo qualche genio del giornalismo sarebbe il capitano del patriarcato oppressivo in Italia. Sfregiano il corpo di una ragazza e manco se ne rendono conto. Andassero a nascondersi».