Giulia Cecchettin, Davide Rondoni: "Ma quale maschilismo? Il tema è il disagio"
L’arte e la cultura come antidoto alla violenza. Davide Rondoni, poeta e scrittore, al taccuino di Libero scende nel profondo di quel che dimostra l’omicidio di Giulia Cecchettin. «La prima cosa che arriva è l’esistenza di molto disagio, che poi si esprime nelle relazioni», spiega Rondoni.
Qual è la genesi di questo disagio?
«È un disagio dell’anima, che spesso viene coltivato in solitudine e poi esplode. Lo testimoniano i numeri dei femminicidi, ma purtroppo anche le casistiche di quelle mamme che uccidono i propri figli. Oltre al dolore di queste ore, dobbiamo compiere una riflessione sul tema».
Dove possiamo individuare l’elemento portante?
«Evidentemente non stiamo più educando alle relazioni, purtroppo. Per esempio, Giacomo Leopardi, in una poesia, Aspasia, vedeva il rischio del femminicidio e parliamo del 1820. Sono temi che la grande letteratura ha già affrontato. Forse abbiamo lasciato troppo i nostri figli in balia di certa tv e di quello che arriva loro attraverso i social, dimenticando i grandi autori, i grandi testi, con il loro grande contenuto educativo. È un disagio complesso, e sarebbe sbagliato derubricarlo a derivazioni del passato, tipo il maschilismo. Certo, ci sarà pure una componente di quel tipo, ma è un disagio che va letto al presente».
Secondo lei, esiste una componente derivante dal fatto che spesso le giovani generazioni non sono troppo abituate ai “no” e alla “sconfitta”? In questo caso c’era il nodi una ragazza e la fine di una relazione...
«È un ragionamento che poggia su alcuni livelli. Il primo è che in una relazione deve esserci spazio anche per la libertà dell’altro, e ovviamente per l’accettazione della fine del legame. Poi c’è il fatto che l’eros è diventato un fenomeno non più letto culturalmente, come osservava già il sociologo Zygmunt Bauman. L’eros è un fenomeno complesso, ma noi oggi ne parliamo con troppa superficialità, come se fosse soltanto una ginnastica del piacere».
In questa deriva, c’entra anche il dilagare del porno?
«Sicuramente può essere un elemento. Avere pensato che il sesso sia una cosa a sé stante, come una cosa al di fuori della relazione, lo espone ad una banalizzazione che nel porno tocca i livelli più alti».
Nell’ambito delle reazioni al femminicidio di Giulia Cecchettin, non si rischia un effetto collaterale, ovvero il messaggio che tutti i maschi sono violenti?
«Usare le tragedie per rinfocolare schematismi è quanto di più pericoloso e di sbagliato possa esserci. Se la buttiamo sugli schematismi, sulla lotta tra categorie, ciò è solo comodo per chi lo fa, ma dannoso per le persone. E del tutto inutile per cogliere l’essenza dei problemi».
Lei ha affermato che dobbiamo riavvicinarci alle relazioni e all’eros con la bussola della cultura. Però come è possibile farlo nell’epoca dei social?
«Il mio amico Don Luigi Giussani diceva: “I ragazzi hanno un solo problema: gli adulti”. Dunque in tutto questo c’è una grande responsabilità degli adulti. Sono loro, in gran parte, a decidere i contenuti del social. Così come le tendenze della società dello spettacolo. È quindi assolutamente necessaria la ricomprensione del loro ruolo. Gli adulti, infatti, hanno sempre una funzione educativa, anche quando non la svolgono direttamente. Bisogna sicuramente ripartire da qui».