L'intervista

Sandra Amurri indagata con Giletti: "Non ci credevo, inquietante"

Hoara Borselli

Era il 13 aprile quando Massimo Giletti e la sua redazione, mentre stavano lavorando alla puntata di “Non è l’Arena” che sarebbe andata in onda la domenica successiva, apprendono da una nota stampa che quella puntata non sarebbe andata mai in onda. Né quella domenica, né quelle successive. Programma cancellato dal palinsesto. C’entrano le ospitate di Salvatore Baiardo, già condannato negli anni novanta per aver favorito la latitanza degli stragisti Graviano, Giuseppe e Filippo, diventato famoso per aver predetto, durante la trasmissione, l’arresto di Matteo Messina Denaro? O le motivazioni sono altre? L’unica certezza è che Massimo Giletti e Sandra Amurri, oggi, risultano indagati per il delitto di diffamazione aggravata a seguito della querela avanzata da Giuseppe Graviano.

 

 



Sandra, tu e Massimo risultate indagati. Ci racconti nel dettaglio la vicenda giudiziaria che vi vede coinvolti?
«Massimo Giletti ed io siamo stati querelati per il reato 595 comma 3, diffamazione a mezzo stampa, dal boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, detenuto in regime del 41 bis nel carcere di Terni, condannato all’ergastolo per le stragi di Capaci e Via D’Amelio, per quelle del ’93 a Firenze, Roma e Milano, per essere stato il mandante dell’omicidio di don Pino Puglisi e per l’omicidio in Calabria dei carabinieri Fava e Garofalo, seppure, per ora, solo in appello».

Cosa hai pensato quando sei venuta a conoscenza della querela?
«Non nego che quando mi è stata notificata la querela non credevo ai miei occhi, sai non è una querela qualunque, debbo dire che mancava nel mio curriculum. Il paradosso sta anche nel fatto che Massimo Giletti sia sotto scorta, proprio per le minacce ricevute dal fratello di Giuseppe Graviano, quel boss mafioso, Filippo, arrestato con lui, e richiuso al 41 bis nel carcere de L’Aquila. Dove, oggi, c’è anche Matteo Messina Denaro. In molti mi hanno scritto dimostrandomi solidarietà e dicendo che in fondo si tratta di una medaglia al merito, però io, che di queste cose ne mastico da anni, ci intravvedo anche un qualche segno inquietante».

Lo ritieni un avvertimento?
«Non proprio, comunque, semmai lo fosse, gli indirizzi sarebbero sbagliati. Non abbiamo la propensione al tacere su richiesta, come ha già ben dimostrato Massimo».

Magari finirà tutto in una archiviazione, non pensi?
«Me lo auguro, visto che tutto ciò che è stato detto in tante puntate, era materia processuale, fatti noti, seppure rimessi in fila con un linguaggio fruibile da un vasto pubblico, non sempre abituato ad essere partecipe di questa storia oscura del nostro Paese, ancora in attesa di verità. E questo, forse, è stato dirompente».

 

 

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Non pensi che in uno Stato di Diritto anche un boss stragista possa querelare se ritiene di essere stato diffamato?

«Certamente! Questo non è in discussione. Ma lo sconcerto nasce di fronte al rigetto della Procura di Terni, diretta dal Procuratore Alberto Liguori, all’istanza del mio avvocato, Francesco De Minicis, di acquisire la querela, al fine di sapere con quali argomenti e in quale puntata di “Non è L’Arena” avremmo commesso l’eventuale reato. Il sostituto procuratore, Giorgio Panucci, titolare del fascicolo, ha motivato così il rigetto: “Trattandosi di procedimento pendente in fase di indagini e pertanto coperto da segreto investigativo”. Ma il mio legale, nel rinnovare la richiesta, citando sentenze della Cassazione, ha sostenuto che la querela non è coperta da segreto investigativo».

Come intendi muoverti adesso?

«Restiamo in attesa. “Ciò che non torna” come dice Massimo Giletti “pur nella massima fiducia della magistratura, è il vedersi negata la possibilità di sapere la ragione di questa querela”. E Massimo aggiunge: “Penso che, forse, ciò che ho subito in questi mesi, non era ancora abbastanza, come dire, non avevo ancora visto tutto”. A questo punto, non resta che scomodare Rodari, del “Paese a rovescio”: dopo la chiusura di “Non è L'Arena, non poteva, certamente, mancare essere indagati per diffamazione di un boss stragista».