A tu per tu
Lucio Caracciolo sugli Usa: "Ecco cosa vogliono davvero dall'Italia"
"La missione di Giorgia Meloni negli Stati Uniti è in linea di continuità con quella che da De Gasperi, primo premier in trasferta negli States, nel 1946, a oggi, è sempre stata la costante della nostra politica estera: Washington è il nostro punto di riferimento geopolitico”.
Davvero nulla di nuovo sotto il sole?
“Quello che è cambiato davvero è il ruolo degli Usa nel mondo. Gli States attraversano una profonda crisi di identità, quindi strategica. Non è più immaginabile un mondo fondato sull’esclusiva egemonia americana. Non lo immagina più neppure Washington, anche se non può ammetterlo”.
L’Italia che ruolo avrà nell’accompagnare gli Usa verso questa transizione egemonica?
“Se cambia posizione il sole, pianeti e satelliti non possono non risentirne. Noi oggi siamo un satellite più importante di quanto vorremmo essere perché la crisi americana ci scarica addosso responsabilità per cui non siamo mentalmente e materialmente pronti. Sarà bene ammetterlo e adattarci rapidamente alla realtà.”
Cosa si aspettano gli States da noi?
“L’Italia ha un’importanza oggettiva, che le deriva dall’essere una piattaforma nel centro del Mediterraneo, connessione fra Europa, Asia e Africa. Per Washington è irrinunciabile avere installazioni strategiche nel nostro Paese. Infatti le sta rafforzando, in particolare nel Nordest, dove sta nascendo un polo di intelligence per tutta l’Europa, e in Sicilia, perché la competizione con la Cina passa anche da lì, lungo lo Stretto che connette Oceano Atlantico e Indo-Pacifico”.
Saremo ancora un’espressione geografica senza particolare autonomia?
“Questo dipenderà da noi, ed è l’altra novità”.
Nel cielo plumbeo della geopolitica mondiale, Lucio Caracciolo intravede qualche raggio di sole che bacia l’Italia. “Siamo una nazione in crisi endemica, eppure galleggiamo, e neppure tanto male” è l’analisi del direttore e fondatore di Limes, la principale rivista italiana di attualità internazionale, nata per raccontare il mondo dopo il crollo del Muro di Berlino e che festeggia i suoi trent’anni. “Gli Stati Uniti hanno interesse ad aiutarci a stare a stare a galla e a tenerci stretti nella loro sfera. Russia e Cina stanno avanzando in Africa, dove Washington non ha mai avuto grande presa, e l’Italia è il candidato naturale a giocarvi un ruolo utile all’Occidente, quindi a sé stessa” spiega Caracciolo, sottolineando che “per restare il numero uno, gli Usa non hanno bisogno di alleati passivi ma di soggetti attivi e senza grilli per la testa, utili a contrastare gli avversari. Il guaio è che negli ultimi anni abbiamo perso troppe posizioni, e non si può dire sia accaduto solo per colpa nostra”.
Vuol dire che Washington finanzierà il piano Mattei per l’Africa?
“Per ora il Piano Mattei è una sigla. Non se ne ha traccia concreta. L’intento è condivisibile: salvare l’Africa dal disastro sennò finisce male per tutti. I soldi non li mette certo l’America.”
Per contare nel mondo servono le armi, e quindi i soldi: arriveranno?
“Noi avevamo Forze amate e armamenti rispettabili in tempo di pace, prima che la guerra in Ucraina svuotasse i magazzini americani ed europei. Ma il paradosso di questa guerra è che ha dimostrato che la più grande potenza militare al mondo e gli altri Paesi della Nato non hanno armi né industrie belliche all’altezza di reggere una guerra. Ora ci stiamo lentamente riarmando, anche se non lo si può dire, perché la politica non osa, ma tutti sanno che entro certi limiti va fatto”.
Su che tipo di aiuto possiamo contare dagli Usa?
“Gli Usa devono avere garanzie sulla solidità del nostro Paese e sulla sua indisponibilità ad aderire a qualsiasi polo di potenza europeo o peggio eurasiatico. Tant’è che, per esempio, erano contrari alla nascita dell’euro perché temevano che nascesse un polo europeo a guida franco-tedesca”.
Operazione riuscita o fallita?
“Parigi e Berlino ci hanno provato, ma la manovra è fallita e, se qualcuno aveva dubbi, la guerra in Ucraina - intorno alla quale non ho mai visto un così grande accumulo di propaganda - glieli ha spazzati”.
L’Italia è stata abilissima a sfruttare diplomaticamente a proprio vantaggio la crisi ucraina…
“E’ stata un’acrobazia ben riuscita della Meloni, che non nasce filo-americana ma ha tenuto una salda linea atlantista, sapendo che la tendenza profonda del Paese è molto più ambigua. Fatto è che oggi in ambito euroatlantico c’è una quantità impressionante di modi di stare con gli Usa, da quello scandinavo-polacco, che mira alla distruzione della Russia, a quello franco-tedesco, che sogna la pace per riprendere a trafficare con Mosca e a lavorare a un sistema di sicurezza pan-europeo, che poi è l’ex sogno sovietico. Quanto a noi, stiamo nel mezzo: la nostra vocazione storica, economica e anche energetica ci spinge a mantenere rapporti con Mosca, ma volendo stare con Washington dobbiamo limitare le nostre derapate”.
Ma Washington si fida di noi?
“Gli Usa sanno che noi tendiamo a dirgli sempre di sì, ma anche che non sempre rispettiamo gli impegni, talvolta anche per impossibilità pratica. Loro preferirebbero un partner più autonomo e “infedele” ma che sia in grado di fare il suo lavoro per la causa comune, invece che uno che dice sì e poi non fa seguire i fatti. Un esempio limite è la Turchia di Erdogan, su ben altra dimensione di potenza. L’Italia non ha però una visione strategica. Non abbiamo neppure un consiglio di sicurezza nazionale e, sotto l’aspetto della difesa, è tutto molto compartimentato, spesso contraddittorio. Manca un’idea di cosa possiamo o dobbiamo fare”.
E se le dicessi che secondo me la guerra in Ucraina è finita?
“Potrebbe finire a breve, perché ormai il campo sembra aver stabilito quali saranno grosso modo i nuovi confini, con il Donbass che torna russo. E’ quella che gli americani chiamano “soluzione coreana”: spartizione di fatto non di diritto. Manca però il cessate il fuoco e nessuno sa come arrivarci. L’Ucraina non accetta di vedersi decurtare il proprio territorio del 20%, spera di riconquistarne una parte e trattare su altre basi ma non ha i mezzi per riprendersi i territori tolti e la Russia non ha la volontà di andare oltre, in questa fase. Non escludo che causa questa impasse la situazione sfugga di mano, ma certo non lo vogliono né i russi né gli americani.”
Quindi la Russia ha vinto e l’Ucraina ha perso?
“L’Ucraina è un Paese distrutto, come strutture e in termini umani, passato da 51 milioni di abitanti a 28, molti dei quali sono fuggiti e non torneranno, perché l’area resterà instabile anche dopo la tregua. Gli Usa non hanno la forza di imporle una mezza resa da coprire con una foglia di fico e Zelensky non è comunque disposto ad accettarla. Ma la Russia non ha affatto vinto, anzi: rispetto al febbraio 2022 è più debole e meno credibile, ha dimostrato di avere una potenza militare limitata che si fonda principalmente sullo spauracchio atomico. Intanto la Nato ha spinto i suoi confini fino sotto il naso di Putin. Per di più, rischia di finire in bocca alla Cina, che non voleva l’invasione dell’Ucraina ma oggi vede opportunità di avanzare in termini di influenza, e forse non solo, in Siberia e nelle aree ex sovietiche, oggi contese, in Asia centrale”.
Kiev entrerà nella Nato?
“No. La Nato è una costruzione militare attraverso la quale gli Usa sono entrati in Europa in funzione anti-russa. Impegna Washington a intervenire in guerra a fianco di ogni Stato membro invaso. L’America sarebbe forse disposta a farlo per Londra o Parigi o Berlino – su Roma non giurerei - e qualche altra nazione, non per ciascuno dei trenta soci atlantici. Più estendi la Nato, più dimostri che l’articolo 5 è relativo: vale in modo diverso a seconda dei Paesi. Meglio non testarne la fragilità ammettendovi un paese, come l’Ucraina, in guerra permanente, calda o fredda, con la Russia. E una cosa è chiara: l’America non vuole fare la guerra alla Russia, tantomeno viceversa. In ogni caso non per l’Ucraina.”
C’è chi sostiene che il picco della crisi tra Cina e Usa ci sia già stato e si stia già lavorando alla distensione: condivide?
“Non credo. Se le cose continuano così prima o poi Cina e America finiranno per farsi la guerra”.
Cosa la porta a un pensiero così tragico?
“Il grado di confusione strategica che vige negli Usa impedisce oggi di capire dove l’America voglia andare. In assenza di un indirizzo preciso ogni deragliamento è possibile. Tanto più che nessuno sa cosa ha in testa Xi Jinping, che oggi di sicuro non vuole il conflitto, ma tra cinque o dieci anni forse sì, specie se i suoi problemi interni dovessero aggravarsi”.
La guerra è una tripla in schedina?
“Sì, e uno dei risultati è la fine del mondo”.
Il casus belli sarà Taiwan?
“Non è detto, potrebbe essere anche la Corea. Usa e Cina sono ovunque nel mondo e l’innesco può capitare ovunque”.
Chi vincerà?
“Sarà una guerra di distruzione reciproca. Nessuno può vincerla. Anche se gli americani arrivassero a Pechino, poi che se ne farebbero di un cumulo di rovine?”.
Per la pace sarebbe meglio che l’anno prossimo vincesse Biden o Trump?
“Direi che è irrilevante visto il consenso anticinese, che è bipartisan. Certo però che la vittoria di Trump sarebbe la dimostrazione che lo Stato profondo americano non funziona più”.
E cosa può evitare il conflitto?
“La consapevolezza di entrambi i contendenti che la pace sia meglio della guerra. Cinesi e americani non sono popoli storicamente ostili, tanto meno rivali geopolitici - anzi. Se ragionassero in termini razionali si renderebbero conto che questo clima di guerra è esiziale. Se sono riusciti a non farsi la guerra russi e americani, che si odiano, possono farcela anche cinesi e americani. La crisi economica della Cina pare strutturalmente irreversibile ma il problema è che non sempre sono i dati economici a muovere la storia. Spesso sono decisivi fattori spirituali, culturali, nevrosi nazionali incontrollabili…”.
La Cina potrebbe sfidare gli Usa mettendosi a guida dei Brics, come molti paventano?
“Noi analisti spesso inventiamo sigle che poi dobbiamo sostenere per far finta di credere alle nostre intuizioni. I Brics non sono un blocco. Sono una sorta di compagnia del risentimento anti-americano di Paesi che vorrebbero maggiore considerazione dagli States e che vedono nella guerra in Ucraina un atto di presunzione e di desiderio di dominio dell’Occidente sul mondo. Però si tratta di nazioni con interessi diversi, in alcuni casi civiltà contrapposte: Cina e Russia sono falsi amici, Cina e India si fanno la guerra a puntate, il Sud Africa è nazione marginale fuori del suo continente e il Brasile ha un rilievo mondiale molto relativo. Quel che è certo è che noi italiani non abbiamo nulla da guadagnare dallo scontro fra Occidente e 'Resto del Mondo', perché siamo alla frontiera che li separa".