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Cristina Campo, enigmatica come la Gioconda: la poetessa che era tanto altro

Simonetta Bartolini
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Le poche fotografie che la ritraggono ci restituiscono una figura minuta, elegante nella postura; il volto - incorniciato dai capelli tenuti indietro a liberare la fronte- è raramente aperto in un sorriso appena accennato; gli occhi sembrano trafiggere l’obbiettivo giungendo vivi e pungenti a noi che cerchiamo di indovinarne i pensieri, comprenderne lo stato d’animo, intuirne i sentimenti. Missione impossibile: come la Gioconda di Leonardo; Cristina Campo rimane un enigma se non si aprono i suoi libri, pochi (spesso editi postumi), ma densi e pregnanti come pochi ormai è dato trovarne.

Scrittrice singolarmente reticente alla scrittura, Vittoria Guerrini (così la registra l’anagrafe di Bologna dove nacque il 29 aprile di un secolo fa) è difficilmente incasellabile, tutto le va stretto: narratrice, poetessa, saggista, traduttrice, intellettuale, non la definiscono completamente, ma sempre e solo parzialmente e in misura insoddisfacente. Fu prima di tutto una onnivora e intelligentissima lettrice, e ogni pagina derivata dalle sue letture spesso ha il peso specifico di un saggio di centinaia di pagine. La sua poesia è parola assoluta che si organizza in musica (alla musica Cristina Campo era stata educata dal padre, il musicista Guido Guerrini), intrecciando armonie dove significato e significante danzano trascinando il lettore in una vertigine governata dalla bellezza.

 

 

LA CULTURA
Ma ancora non basta perché Cristina Campo fu una mistica, non nel senso religioso tradizionale del termine, ma in quello per cui l’interlocuzione con il divino fa i conti con il tempo della modernità che ha cacciato il sacro dal proprio orizzonte. Insomma una mistica laica. Cristina Campo ne era consapevole, ma non rassegnata traccia il proprio percorso mistico guardando prima di tutto alla perfezione (i cui attributi, scrive negli Imperdonabili, sono quelli della mistica: «le vigilie notturne, i duri mattutini, i voti di castità, obbedienza povertà»,) e alla di lei sorella: la bellezza. Perfezione e Bellezza, rispettivamente assolutezza del compimento e compimento estetico, cui si giunge attraverso la catarsi. Scrive ancora negli Imperdonabili, «Perfezione, bellezza. Che significa? Tra le definizioni una è possibile. È un carattere aristocratico, anzi in sé è la suprema aristocrazia. Della natura, della specie, dell’idea. Anche nella natura essa è cultura».

 


Ecco, in questo mondo che si affanna a cercare una definizione di cultura, che le attribuisce coloriture politiche, che la brandisce come termine di contrapposizione partigiana, Cristina Campo offre parole inequivocabili, indiscutibili. Ma perfezione e bellezza chiedono almeno tre condizioni: «pietà, libero giuoco, arti femminili», scrive ancora spiazzando chi avesse avuto l’intenzione di considerare le sue parole passatiste o peggio, reazionarie. Cristina Campo è in realtà straordinariamente attuale: se «arti femminili» allude alla perspicuità delle millenarie cure e tensione verso la leggerezza composta e solida dell’armonia del corpo e dell’essenza della femminilità attraverso le sue forme, «libero giuoco» si riferisce alla libertà dei movimenti di quelle stesse forme che non sentono l’abito come prigione: «Il portamento eretto delicato della ragazza della Costa d’Oro è opera di secoli di nuoto. Orci d’argilla equilibrati sul capo, danze e canti d’iniziazione più complicati del gregoriano più puro». La «pietà» infine rimanda alla duplice accezione di pietas virgiliana – ovvero quel sentimento di devozione famigliare che per estensione naturale è dovuto anche alla patria (terra dei padri dunque luogo atavico della famiglia) e alla religione (famiglia di narrazioni etiche e salvifiche nonché di sentimenti rispetto al mondo divino) - e di sentimento di compassione.

L’ATTENZIONE
La compassione rappresenta l’attributo più virilmente femminile, masi potrebbe anche invertire definendolo femminilmente virile, senza che il significato subisca alcuna variazione se non di arricchimento nella sua duplice declinazione. Il “patire con”, la capacità di condividere un dolore o una gioia, un’emozione o la sua assenza nella desertificazione del sentire, rappresenta per Cristina Campo il titolo più prossimo assimilabile al percorso della mistica religiosa nella sua tensione all’unione con il divino. Nel ristretto, ma imprescindibile catalogo del lessico della mistica laica di Cristina Campo si aggiungono la “Sprezzatura” e l’“Attenzione”. La sprezzatura, una sorta di imperativo morale che ella definiva «virtù polare grazie alla quale il sentimento della vita sia nello stesso tempo rarefatto e intensificato». L’attenzione intesa come aderenza, costante contatto con l’essere, concentrazione sul destino. E il destino chiama la fiaba: luogo dove si compiono i destini cui Cristina Campo ha dedicato pagine bellissime. No, non cercate di indovinare chi è Cristina Campo leggetela, sarà un’avventura inimmaginabile 

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